@MARE

@ Mare

@MARE
Ho preso un cartone
ho preso un cartone gettato via.
L’ ho riempito di mare
vi ho fatto un sole.
Non so se alba o tramonto.
Vi ho messo dei pezzi di vetro
l’ho sigillato
l’ho fermato il tempo.
Ho preso l’ alba
ho preso il tramonto
ho preso me stessa
Paola  Tassinari

FANTASIA

 

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 FANTASIA

Tre sorelle.
Due, cinque, otto anni.
Tu Fantasia eri la più grande.
Ti piaceva il confine, lo stare in bilico.
Perdevi sempre la chiave di casa.
Te la legavano al collo con un nastro.
Ma a te piaceva rischiare.
Te la toglievi dal collo e la lanciavi lontano.
La trovavi.
Allora la lanciavi in mezzo ai cavoli o ai piselli e non la trovavi più.
Allora piangevi e dicevi che non l’ avresti persa più.
Ma non era vero.
Ti piaceva fingere di morire, resistevi sino a che le tue sorelle spaventate non piangevano.
Allora resuscitavi.
Ti piaceva stare in equilibrio con un piede solo sul carro, facevi finta di cadere, un giorno cadesti per davvero.
I tuoi genitori spaventati, preoccupati da quello che dicevano le sorelle, ti portarono dal dottore, poi dallo specialista per via dei tuoi svenimenti.
Tu avevi un bel dire che lo facevi per gioco, la mamma e il babbo non ti presero sul serio.
Ti portarono dallo specialista famoso, il quale non ci capì niente, ma disse: ” Proviamo a toglierle l’ appendicite”.
A quel tempo andava di moda togliere l’ appendicite e le tonsille.
Così fu, che tu Fantasia, per troppa moda e per troppa fantasia, l’ operazione dell’ appendicite la subisti per davvero.

GU

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GU

Gu è un homo habils, non ha niente a che fare con Bo che è del gruppo degli australopitechi.
Il gruppo di Gu, diversamente dal gruppo di Bo costruisce oggetti con la pietra, che conserva per continuare ad usarli.
Costruisce rudimentali ciotole per conservare il cibo.
Conserva.
Gu non sa il perchè, ma oggi sente qualcosa di diverso.
Il gruppo deve lasciare il luogo, non c’ è più cibo, gli animali se ne sono andati e sono rimaste anche poche erbe e frutti.
Devono lasciare la caverna, ma Gu deve lasciare anche Guga.
Guga ha la pancia gonfia, non è in grado di camminare a lungo.
Deve essere abbandonata, Gu non vuole lasciarla, ma sa che così non va bene, deve seguire il gruppo e Guga non si può conservare.
“Ma se conservo il cibo perchè non posso conservare Guga?” Si chiede Gu.
E’ spuntato il sole, le paure svaniscono.
Si raccolgono gli arnesi, si parte.
Gu si alza, i suoi occhi incontrano gli occhi di Guga.
Gu con fermezza d’ animo parte col gruppo.
Gu si sente diverso, cammina e con gli occhi guarda.
Cammina e guarda un albero.
Cammina e guarda un fiume.
Cammina e guarda una montagna.
Cammina e guarda e annusa e tocca.
Il gruppo si ferma ha trovato un posto buono per fermarsi.
Le femmine raccolgono le erbe ed i frutti , i maschi vanno a caccia. Il bottino è ricco.
Gu pretende tutta la sua parte, la raccoglie e decide di tornare indietro.
Altri maschi, quelli che hanno lasciato indietro le loro femmine perchè gravide, si uniscono a lui.
Gu e il piccolo gruppo di homo habilis, camminano, guardano ed annusano e toccano.
Camminano e riconoscono la montagna.
Camminano e riconoscono il fiume.
Camminano e riconoscono l’ albero.
Camminano e ritrovano le loro femmine.
Gu riguarda negli occhi Gugga con un sorriso trionfante.
Ma perchè il gruppo di Gu conserva, quale è stata la scintilla che gli ha fatto dire è mio?

LAIKA

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LAIKA

Con Laika ci sono stata poco, ormai avevo dieci anni. I tempi delle scorribande nei campi erano finiti.

La mattina andavo a scuola e il pomeriggio oltre ai compiti dovevo lavorare.

Laika stava nel cortile, ma un giorno scappò.

Stette via una decina di giorni.

Ritornò incinta.

Strano, perché di solito sono i maschi che scappano di casa per andare dalle femmine in calore.

Fece una nidiata di meravigliosi cagnolini.

I cagnolini scomparvero quasi subito, ti dissero che bisognava ucciderli subito, nessuno avrebbe voluto dei cani bastardi, per non farli soffrire occorreva sopprimerli subito, così non avrebbero sofferto. Si faceva così anche coi gattini, qualcuno appena nati li sbatteva per terra, molto meglio che affogarli… dicevano.

Non ti convincevano.

Anche tu sei rimasta incinta, ti sei sposata e sei andata a stare accanto alla casa dei tuoi genitori, Laika stava nel cortile che avevate in comune.

Laika era tenera col tuo cucciolo, quando il bimbo era sul girellino nel cortile, Laika coi denti afferrava lo schienale del girellino e lo portava a passeggio. Tu ti incantavi a seguire la scena.

Laika scappò ancora.

Stette via una decina di giorni.

Ritornò incinta.

Fece una nidiata di meravigliosi cagnolini.

Nessuno si poteva avvicinare alla cucciolata, Laika ringhiava cattiva.

Solo il tuo bimbo poteva avvicinare la nidiata di cuccioli.

Tu avevi implorato che le lasciassero tutti i cuccioli, ti dicevano: -Vedremo, tutti sono un po’ troppi, magari qualcuno-.

Stavi attenta, controllavi, contavi i cuccioli.

Ma i cagnolini scomparvero.

Tutti.

Laika sembrava impazzita, la legarono con una catena lunga perché tentava di scappare.

Una mattina trovarono Laika morta, si era strozzata con la catena.

Io non l’ ho vista.

Però mi domando, se si è voluta uccidere per il troppo dolore o se cercava di scappare per rimanere ancora incinta.

Io penso che quando il dolore è troppo.

E’ troppo.

BOBI

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BOBI

Prima di iniziare il tuo racconto, mi devi spiegare perché vuoi inserire in People i tuoi animali.

– Non lo so -.

– O forse, perché penso ci sia molto da imparare dal comportamento degli animali -.

Dunque il primo cane fu Bobi.

Bobi era un cane da pagliaio, dicevano così, non sai bene cosa volesse dire. Forse era perché mangiava le uova nel nido delle galline, o forse perché si mangiava anche le galline.

Siccome Bobi era un cane da pagliaio lo fecero salire sull’ auto, una millecento Fiat prestata dallo zio, e lo portarono lontano, lontano.

Ma a Bobi non piaceva stare lontano, lontano e dopo una settimana tornò a casa.

Se ne meravigliarono tutti: – Forse è intelligente -, dicevano. Io lo sapevo prima di loro che non era un cane da pagliaio.

Ma Bobi continuò a mangiare uova e galline e lo portarono ancora lontano, lontano. Tu lo aspettavi, anche dopo un mese lo aspettavi, ma lo sapevi, avevi origliato e sapevi che quel lontano, lontano era il fiume con una pietra attaccata al collo. Non sapevi bene cosa voleva dire, ma intuivi che era una cosa molto, molto più brutta del lontano, lontano e che Bobi non tornava perché non poteva , non perché era un cane da pagliaio.

Poi però si accorsero che tu eri molto triste, non mangiavi ed un giorno hai preso le forbici e ti sei tagliata i capelli, la coda di cavallo che piaceva tanto alla mamma e l’ hai gettata nel pozzo.

Quante urla, ma la nonna ti ha difeso, ti ha abbracciato ed ha capito che eri solo triste, triste.

E ti hanno portato un cagnolino, piccolo, piccolo, ma così piccolo che dovevi dargli da mangiare tu.

Era arrivato Ringo.

UNA ROSA DI MAGGIO

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               L’infinità degli occhi tuoi

come l’infinità degli oceani

come l’infinità dei campi di girasole

come l’infinità della lontananza

che diventa vicinanza

perché attraversa la vita mia

Cosimo de Bari

Questa poesia è dell’amico blogger Cosimo de Bari, qualcuno ha scritto che ciò che piace si ruba, non so se è proprio vero, ma in questo caso l’ho fatto. Sono andata nel suo sito ed ho rubato questa poesia,una poesia bella come lo scroscio di una risata, che io immagino sempre come una collana di perle che ruzzolano, lo stesso effetto del suono del pianoforte, lo stesso profumo di una rosa di maggio.
Quindi Cosimo devi essere contento del furto perchè dimostra la beltà della tua poesia.

immagine di Teoderica