Il topo Diavolito

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Il topo Diavolito, era chiamato così perché aveva i baffi a forma di 6, e tutti sanno che il numero 666 è il numero della bestia, è il numero del diavolo.

In realtà era buono come un angelo.

Veniva dalla campagna ed era arrivato in un appartamento in città, per seguire la sorellina, che si era innamorata di un topo di città.

Aveva seguito la sorella per assicurarsi che avesse una  vita tranquilla, perché sia lei che il fidanzato erano poco scaltri, e a questo mondo senza un pizzico di furbizia non si ottiene nulla.

A Diavolito non piaceva essere furbo, intelligente sì, ma furbo no.

L’uomo invece, aveva deciso di fare il furbo, e così Diavolito per non soccombere aveva dovuto adattarsi.

Si sa che quando si va in guerra bisogna andare ad armi pari.

Diavolito stava nella sua tana, un piccolo pertugio, dotato di ogni confort.

Doveva uscire solo per racimolare qualcosa da mangiare  ed era dura, molto dura.

Già con la fame in corpo non si ragiona, poi potevi imbatterti in una trappola infernale, che ti allettava col formaggio, tu entravi attratto dall’odore delizioso e zac…rimanevi imprigionato.

Ma ancora peggio, potevi rimanere incollato e tirare come un disperato le zampine per scollarle, qualche topo grosso ce la faceva a scappare, ma io che sono piccolino se becco la colla sono finito.

Poi c’era la padrona di casa, una volta aveva visto Diavolito, si era messa ad urlare, era salita sulla sedia, non credevo di fare tanta paura, gli umani sono ben strani.

C’erano anche due gatti, che pena mi facevano, io rischiavo, ma avevo tanti interessi, vivevo la vita che mi era stata data, ma quei due Cip e Ciop erano come statue, praticamente non vivevano.

Devono la loro fortuna a me, per colpa mia furono scacciati da casa, ma conobbero la libertà.

Io, per conto mio spero di morire nel mio letto in pace.  Diavolito vi saluta tutti.

 

 

 

 

 

 

 

 

Cip e Ciop due gatti sornioni

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Cip e Ciop erano due gatti sornioni, anche un poco paciocconi.

 

Si erano  intestarditi di acchiappare e poi mangiarsi il topo Diavolito.

Pensavano, in quanto gatti, ed essere in due, di prendersela con comodo e di riuscire ugualmente nella loro impresa.

Non  facevano altro che mangiare crocchette in scatola e poi dormivano su un cuscino di raso.

Erano talmente pigri da non uscire mai neanche nel piccolo giardino.

La loro padrona gli faceva anche le unghie con la lima, e gli puliva il pelo con salviette umidificate, quelle che si usano per i bambini, così loro potevano risparmiarsi di fare la toeletta.

Mangiavano e dormivano e basta.

Diavolito, usciva dal suo nascondiglio, quando gli pareva, passava veloce sotto al naso di Cip e Ciop, loro neanche si accorgevano di nulla.

Ma un giorno Diavolito fu visto dalla padrona dei gatti, la quale urlando, salì sulla sedia, coi capelli dritti sulla testa.

La padrona si arrabbiò tantissimo, ma mica con Diavolito, se la prese con Cip e Ciop, due fannulloni incapaci, li prese per la collottola e li scacciò.

Non si sa la fine che fecero i due gatti, c’è chi dice che si adattarono alla vita randagia e chi dice che morirono di stenti.

I due poveri gatti non avevano capito che è meglio essere autosufficienti che deficienti.

 

Il gatto nero

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Tanto tempo fa, diciamo tremila anni fa, i mici erano trattati come grandi re.

Grazie a loro, il grano si salvava dall’assedio dei topi e le persone potevano avere così il pane da mangiare.

Ma poi nel Medioevo, chissà poi perché, l’uomo s’inventò che il gatto nero era una strega.

E pure che poteva essere l’incarnazione di un diavolo.

Non c’era fine alla cattiveria dei pregiudizi e i poveri gatti neri venivano bruciati sul rogo.

Per loro nessun monumento per ricordare il loro sterminio.

Anche se i gatti non si preoccupano di queste cose.

Ai giorni nostri, c’è ancora qualcuno che tiene in tasca un po’ di sale grosso contro le streghe.

Il sale grosso fa sì che le streghe si incollino là dove c’è il sale, così poi possono essere catturate.

E c’è ancora qualcuno che quando un gatto nero gli attraversa la strada, fa marcia indietro e non prosegue  in avanti.

Ma questo è un bene, almeno il gatto nero è sicuro di non essere investito.

Certo che l’uomo è strano, mica il gatto nero, prima ti eleva alle stelle poi ti sotterra, e noi gatti dobbiamo subire la sua ignoranza e cattiveria.

Il piccione bipolare

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Questa del piccione è una strana storia, è diventato bipolare.

Ha smarrito la sua identità.

Il piccione gira per le città, piace ai bambini che gli danno le briciole di pane, lo fotografano, gli dicono: ”Guarda che bel piccione, lo voglio, mamma, lo voglio.”

Ai matrimoni è considerato di buon auspicio, perché è un uccello caro a Venere dea dell’amore, inoltre il maschio ama con tenerezza la sua compagna per tutta la vita.

Si dice infatti “tubare come piccioni” quando ci si bacia molto.

E’ un uccello che è accanto all’uomo sin dagli inizi della storia, è intelligente e pare che riconosca i volti delle persone, e se si specchia si identifica.

E’ un viaggiatore, ha portato messaggi in ogni dove, aiutando l’uomo.

Però c’è chi lo odia molto, lo caccia col fucile e poi lo mette in pentola.

C’è chi dice che il suo guano, cioè i suoi escrementi, portino malattie e per questo lo vuole sterminare.

Così il povero piccione non sa più chi è.

A volte si sente buono e amorevole.

Altre volte si sente cattivo e pestifero.

A volte è felice.

A volte è triste.

 

 

Storia di un papero

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C’era una volta un papero incontentabile, era nato con un becco lungo, lungo, che con gli anni era diventato ancora più lungo.

Il papero si vergognava del suo becco lungo più di mezzo metro, inoltre gli altri paperi lo prendevano in giro, gli dicevano che con quel beccone era proprio un semplicione.

Pure la sua mamma e il suo papà si vergognavano di lui.

Il papero seppe dalla gallina, sua vicina di cortile, che appena un poco fuori dall’aia, c’era una quaglia che era un poco maga.

La gallina disse al papero: “Vai dalla quaglia che forse riuscirà ad accorciarti il becco”.

Il papero corse dalla quaglia: “Ti prego aiutami, mi vergogno di avere un becco così lungo”.

La quaglia rispose: “Vai dall’ape che sta sul fiore rosso del melograno, se lei ti dirà di no, il becco ti si accorcerà.”

Il papero trovò l’ape sul fiore e le disse: “Vuoi che io mangi tutto il fiore di melograno?”.

“No”, rispose l’ape.

Il papero si accorse che il becco si era accorciato di un bel po’, ma non era contento, lo voleva ancora più corto, perciò si reco  ancora dall’ape.

“Vuoi che io mangi tutto il fiore di melograno?”.

“No”, rispose l’ape.

Il papero tornò a casa, questa volta aveva il becco come quello degli altri paperi, ma lui era incontentabile, adesso voleva il becco come quello delle galline, piccolo, piccolo e più sottile, tornò quindi dall’ape.

“Vuoi che io mangi tutto il fiore di melograno?”.

“Ho detto no, no, no” rispose l’ape un po’ arrabbiata.

Il papero tornò a casa, si guardò nello specchio e vide che non aveva più il becco, nemmeno un centimetro di becco.

Sconsolato capì che nella vita bisogna accontentarsi, non pretendere troppo, ma assecondare il giusto.

Est modus in rebus ovvero c’è una giusta misura nelle cose.

 

 

 

 

 

 

La filosofia della farfalla

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La mamma aveva deposto le uova, dopo una decina di giorni ero nata assieme agli altri bruchi, brutti verdi e mollicci e con tanta fame.

Divoravamo centinaia di tenere foglioline verdi, poi ci venne un gran sonno ed ognuno si costruì una specie di bara che tutti chiamano crisalide.

Al risveglio, dopo la metamorfosi ero diventata quella che sono ora, una farfalla.

 

Adesso non sono più vorace come quando ero un bruco, ora  elegantemente, con la mia proboscide succhio il nettare dei fiori.

 

Il bambino pestifero che ha schiacciato tanti bruchi, tanti miei fratelli, perché diceva che eravamo brutti, ora mi guarda incantato e chiama la mamma perché mi venga a vedere.

 

Ora che sono farfalla tutti mi vedono con meraviglia, piaccio.

 

Vedono in me una loro probabile ascesa, perché io inizio la mia vita strisciando, e poi mi trasformo in un arcobaleno che vola di fiore in fiore, mi paragonano  all’anima.

 

Illusi.

 

La mia bellezza dura solo qualche giorno.

 

Illusi.

 

Non avete capito niente, la bellezza è dentro di voi, non all’esterno, se voi siete brutti dentro, sarà brutto anche l’esterno.

 

Illusi.

 

La bellezza, così come la felicità, dura poco, non fate come il bimbo che schiaccia i bruchi, in quel bruco c’ero già io, non guardate solo con gli occhi, guardate anche col cuore.

 

 

 

 

 

Il desiderio della bambina

Nuova immagine (11)Questa è la storia di una bambina molto carina, ma lei non si piaceva, perché aveva, secondo lei, i capelli color topo, in realtà erano color castagna di un bel bruno ramato.

E poi aveva castani pure gli occhi, che non erano certo belli come gli occhi azzurri che evocano il cielo o gli occhi blu che suggeriscono il mare o gli occhi verdi che fanno pensare all’erba.

Il suo più gran desiderio era poter avere i capelli biondi come il grano e gli occhi azzurri o forse blu.

La sera prima di dormire leggeva il grosso libro delle  “Mille e una notte,” scorreva sempre le stesse pagine, quelle di Aladino e della lampada magica.

Dovete sapere che la lampada magica esaudiva i desideri.

La bambina aveva rubato alla mamma una teiera di rame, simile, per forma, alla lampada di Aladino.

Se l’era portata nel letto, e dopo aver letto di Aladino, si metteva sotto le coperte, strofinava energicamente per un quarto d’ora la teiera, poi pensava intensamente al suo desiderio.

La mattina, appena sveglia correva a specchiarsi, ma mai accadeva che i capelli fossero diventati biondi o gli occhi blu.

Ma la bambina non si scoraggiava: “se credo intensamente, il mio desiderio si avvererà,” si diceva.

Arrivò un bel giorno la cuginetta, lei era una cittadina, veniva da Milano, aveva solo due anni più di lei, ma sembrava molto più esperta… quasi una grande.

La bambina fu così in ammirazione di questa cuginetta così esperta e le confidò il suo desiderio.

Certo non si aspettava la risposta che ebbe.

 

La cuginetta le spiegò che i capelli si potevano tingere, si andava dalla parrucchiera e in due ore si avevano i capelli biondi, rossi, verdi, come uno voleva.

Agli occhi si potevano mettere delle lenti colorate ed un giorno si potevano avere gli occhi blu e un altro gli occhi azzurri e così via.

“L’unico miracolo che devi ottenere è convincere tua madre a portarti dalla parrucchiera e a comprarti le lenti per gli occhi.” Concluse saputella la cuginetta.

 

 

La volpe amareggiata

Nuova immagine (9)C’era una volta in un campo coltivato, una volpe molto  amareggiata dai pregiudizi che avevano su di lei.

Questa volpe, a differenza delle altre, era talmente curiosa, che avendo trovato un sussidiario, aveva poi imparato a leggere.

E si sa, una volta imparato a leggere, non si smette proprio più, perché la passione è molto grande.

Ma leggendo i libri aveva imparato che gli uomini, sin dal lontano medioevo, la descrivevano come furba, fraudolenta e sleale.

Narravano di come si fingesse morta per attirare le vittime, e questo ve lo dico io non è vero per niente.

Raccontavano di come fosse difficile catturarla perché oltre ad essere prudente era anche velocissima, a me questi sembrano pregi.

La denigravano perché non riuscendo a prendere l’uva faceva finta di disprezzarla, ma scusate voi non avete un po’di amor proprio, non dite che bisogna incassare una sconfitta con classe?

E poi con questi pollai che io devasterei, ma smettetela un po’, per qualche pollo, i miei piccoli urlano e  piangono per la fame, che dovrei fare?

Se non lo sapete ve lo dico io: “io ai miei cuccioli ci tengo, nascono in primavera e già dopo sei settimane sono in grado di fare da soli, ma io li conservo sotto la mia protezione sino all’autunno.”

La volpe era proprio amareggiata perché era lei che riteneva l’uomo fraudolento, sleale e sanguinario, non organizzava le cacce alla volpe solo per divertimento?

E non uccideva le volpi per regalare le pellicce alle donne?

E le donne poi, che si mettono la mia pelle, attorno al collo, pavoneggiandosi?

Ma sì fate quello che volete ma prendetevi almeno la responsabilità di quello che siete.

Io sono una volpe e si vede, ma tu uomo, tu chi sei?

 

 

 

 

Filomela

Nuova immagine (8) Filomela era una rondine che aveva già compiuto sedici anni, questa era l’età massima che una rondine poteva vivere.

Ormai il volo la stancava, ed a terra è risaputo che le rondini avendo le zampe corte sono molto goffe, facile preda di gatti indiavolati.

Che poteva fare Filomela, le forze per volare in Africa non le aveva, i figli ne aveva tanti, ma ognuno sparso per il mondo, perché così deve essere, solo gli umani, ma loro sono molto sciocchi, si tengono i figli attaccati alle penne.

Che poteva fare Filomela?

Restare nel nido che si trovava sotto il tetto di una stalla e che era suo ormai da tanti anni?

Restare lì al calduccio, fra le cose care e conosciute?

Restare ed aspettare la morte?

Sì, sarebbe rimasta nel nido antico ed avrebbe impiegato il suo tempo a cantare, a trasformare la voce stridula che hanno le rondini in quella voce musicale che possiedono gli usignoli.

Migliaia di anni fa, alla rondine avevano tagliato la lingua, è per quello che non aveva più la musicalità dell’usignolo, eppure sempre nel tempo antico, la rondine aveva come sorella un usignolo.

C’è sempre tempo per imparare qualcosa di nuovo, qualcosa di nuovo che non fa pensare al vecchio in arrivo.

Coccinella

Nuova immagine (7)Tutte le favole hanno protagoniste molto giovani, questa no, parla di Coccinella una signora di cinquant’anni chiamata così perchè quando spolverava la casa e trovava una coccinella, la prendeva sul palmo di una mano, la baciava e poi la deponeva delicatamente su un fiore.

Coccinella era diventata molto triste, aveva sempre lavorato tanto e non aveva ore per stare in ozio, ma adesso era rimasta sola ed aveva tanto tempo libero che a lei sembrava vuoto.

Un giorno mentre se ne stava al davanzale della finestra a piangere, una coccinella le volò sui capelli e…si mise a parlare: “Tu sei sempre stata gentile con noi perciò voglio rivelarti un segreto, io che sono la regina delle coccinelle, posso esaudire un tuo desiderio, uno solo bada, tornerò fra una settimana e tu mi dirai che cosa vorrai.”
Coccinella fu invasa da una specie di scarica elettrica, iniziò subito a pensare a questo, a quello, a sopra, a sotto, più pensava a ciò che voleva più non sapeva che voleva.

Ma alla fine della settimana aveva ben chiaro il suo desiderio, quando la coccinella volò sui suoi capelli le disse: “Cara, dolce coccinella, vola da una qualsiasi persona ammalata e toglile il male, questo è il mio desiderio, perchè io non ho motivo di essere triste, sono sana, il pane non mi manca e con te ho capito che il vero segreto è …non desiderare.”