Avere uno scheletro nell’armadio

ar var alda 6 “Avere uno scheletro nell’armadio”, cioè qualcosa di torbido tenuto chiuso e nascosto metaforicamente nell’armadio in realtà segretamente chiuso dentro di noi. Nell’armadio si cela spesso anche l’amante, sembra una vignetta, ma si mette nel luogo giusto quello del segreto. Ma da dove proviene il detto? Forse da una donna che all’arrivo del marito ha ucciso l’amante, l’ha nascosto nell’armadio e il coniuge l’ha poi scoperto molti anni dopo quando era già un cadavere? L’origine del modo di dire va ricondotta ad un episodio della Rivoluzione Francese e al Conte di Mirabeau, che ne fu protagonista. Mirabeau, celebrato come campione dei rivoluzionari, dopo la sua morte, si scoprì, in un armadio blindato, un’abbondante documentazione di accordi segreti del Conte con il re volti a contrastare i rivoluzionari. Le reazioni dei Giacobini furono molto violente, e anche la stampa dell’epoca raffigurò Mirabeau in forma di scheletro   nell’armadio a custodire le prove del suo tradimento. Un’altra fonte fa risalire l’origine del detto al 1800 quando gli unici cadaveri di cui i medici britannici potevano disporre, per ragioni di studio, erano le salme dei criminali giustiziati. Non vi era una vera abbondanza di salme per la professione medica. Sicché un medico che avesse avuto la possibilità di praticare un’autopsia su un criminale giustiziato ne conservava lo scheletro. E lo teneva ben celato in un armadio, poiché non era permesso di tenerlo allo scoperto. Il popolo      pensava che un po’ tutti i medici celassero uno scheletro nell’armadio, un segreto compromettente da tenere ben nascosto. Costruiamoci il nostro armadio interno e nascondiamoci i nostri scheletri, anzi dimentichiamoli perché il tempo molto spesso ci svela che erano ben poca cosa.

Sbagliare è umano, perseverare è diabolico

dama del liocornoSbagliare è umano, perseverare è diabolico, questo aforisma è forse ancora più famoso in latino: “Errare humanum est, perseverare diabolicum”. Il significato salta all’occhio subito, sbagliare è insito nella natura dell’uomo, più propriamente del fare e dello scegliere, ma continuare nell’errore è diabolico. Sembra sia una frase di Sant’Agostino, se ciò fosse, occorre dire che il Santo perseverò in molti peccati, ciò  non impedì, anzi forse lo rese edotto sul diabolico, di diventare un pilastro della cultura e della teologia. Avrete capito che non mi piace questo aforisma, essendo romagnola ovvero “testa dura”, cioè  testarda e cocciuta, un po’ come il mulo e quindi anche poco intelligente e un po’ diabolica infatti dimentico spesso di fare i coperchi. Sbaglio spesso ma non mi arrendo cerco in tutti i modi di metterci una toppa, di salvare il salvabile, e mi accontento del risultato… non sono una perfezionista. Questo mio continuare a sbagliare mi ha però reso tollerante e benevola verso gli errori altrui, mentre chi capisce subito, chi è più intelligente è pronto a bacchettare tutti sicuro di non sbagliare o perlomeno di farne meno degli altri. Se poi vogliamo fare i “pelosini” diabolico etimologicamente significa dividere che si riallaccia al numero due, quindi se vogliamo possiamo riscrivere il detto:“Sbagliare è umano, perseverare è dividerlo in due parti, si sbaglia un po’ meno”.

L’ozio è il padre dei vizi

arvar alda 5 L’ozio è il padre dei vizi, con questo modo di dire ci possiamo dividere in due squadre chi a favore chi contro. Io sto a metà, un po’ di ozio fa bene molto ozio fa molto bene inteso però come l’otium degli antichi, votato alla ricerca intellettuale. Mentre l’ozio di oggi porta spesso ai vizi, al bere, al fumare, al farsi delle canne, giocare alle slot ecc. Lo sanno bene i comandanti dell’esercito del potere deleterio dell’ozio,  si inventano lavori e lavoretti per non demoralizzare o tenere in stato di inedia la truppa. Anzi devono tenersi ben in ordine anche col vestiario, è risaputo che la sciatteria porta alla depressione… il depresso resta in ozio, nemmeno si lava, è schifato da se stesso e basta. In principio furono i Greci ad esaltare l’ozio, legandolo soprattutto alle classi aristocratiche e dominanti. Erano esclusi da questo privilegio, innanzitutto gli stranieri o i membri delle classi subalterne. Le persone dedite ai lavori manuali, come gli artigiani, erano disprezzate, in quanto scarsamente protese all’ozio, che era alimentato dalla partecipazione alle attività teatrali, sportive o politiche. A Roma tra coloro che lo vedevano in chiave positiva c’erano Cicerone e Orazio, con la ben nota teoria del carpe diem. A Catone il vecchio è ascrivibile il detto “l’ozio è il padre dei vizi” quindi lui era critico con l’ozio, come pure lo era Giovenale che vedendo i suoi contemporanei interessarsi soltanto al cibo e agli spettacoli del circo, conia l’espressione “panem et circenses”. A quel tempo l’ozio aveva cessato di essere un privilegio per le classi dominanti, divenendo accessibile anche ai più poveri, foraggiati dalle distribuzioni alimentari gratuite. Vi ricorda niente ciò? Oggi i vizi e l’ozio sono per tutti, foraggiati dal Governo che ne dà l’esempio e la truppa imita e crede di godere.

 

 

 

 

Chi troppo vuole nulla ottiene

serpente 1Chi troppo vuole nulla ottiene. Questo detto mi piace tantissimo, penso che sia un brutto vizio lo stravolere e chi ne è preso mi fa un po’ pena, perché anche per lui alla fine c’è il nulla, la roba non la porta con sé e spesso i figli o i nipoti mandano in malora tutto. Penso a chi accumula, accumula, accumula, pavoneggiandosi di quello che ha e avido vuole sempre, incurante e non vergognandosi di avere esageratamente tanto, in confronto agli altri, fisicamente si trasforma pure: il petto esageratamente all’infuori come un gallo. Infatti questo modo di dire ha origine da una gallina, in una favola di Esopo. C’era una volta un contadino che aveva una gallina speciale che faceva un uovo al giorno… tutto d’oro. Il contadino manco guardava o ringraziava la gallina, prendeva l’uovo, lo vendeva al mercato, nascondeva i soldi anche alla moglie, la quale, poveretta, lavorava dalla mattina alla sera nei campi. Avido, incontentabile e inappagabile, pensò a quanto oro avesse dentro di sé la gallina, prese un coltello e uccise la gallina. Ma dentro  le sue viscere non trovò nulla, il contadino rimase senza gallina e senza uovo d’oro. Accontentarsi è una parola d’oro, significa apprezzare ciò che si ha, quindi non si cercherà l’accumulo ma il benessere che è altra cosa.

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare

gatto 2Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare recita un vecchio proverbio popolare che significa che a volte si ha tendenza a parlare molto senza costrutto ovvero a fare promesse che poi, si sa, non vengono mantenute.   (In questo caso i politici la sanno lunga). Le parole possono essere pietre o carezze, possono dare stimolo, ma da parte mia rifuggo da chi parla troppo e promette spesso. Secondo la psicologia io dovrei essere quindi una ciarlona perché si disprezza chi ha i nostri difetti, invece no, sto molto attenta a fare promesse e le mantengo anche se mi costa sacrificio e se inavvertitamente mi scappa una parola di più, la mantengo e la metto in opera. Devo confessare però che oggigiorno per quieto vivere sono costretta a dire bugie. Io credo che la parola sia inutile se non è seguita dal fare, ma tra il dire e il fare c’è in mezzo appunto il mare, un’immensità, e quando mi capita da qualcuno il contrario, dal dire si passa al fare, ne sono sempre stupita e contenta. Ma veniamo ad una bella favola di Esopo che spiega bene il concetto. C’erano dei topi che vivevano in una casa dove c’era un diabolico gatto, i sorci soffrivano perciò una grande fame, terrorizzati di uscire dai loro nidi. Si riunirono tutti per trovare un’idea e un topolino disse:“Ho io la risoluzione dobbiamo attaccare un campanello alla coda del gatto. Quando si muoverà, il campanello suonerà,noi sapremo dove sarà e potremo così uscire in cerca di cibo”. I topi si misero a  saltare euforici, convinti dalla grandiosità dell’idea, finché il topo più anziano domandò: “Chi andrà ad attaccare il campanello?”. Tutti mogi e zitti … nessuno si offrì volontario, nessuno alzò la zampina.

Ferisce più la lingua che la spada

tris 7Ferisce più la lingua che la spada questo è un aforisma antico lo si fa risalire a Eraclito uno dei maggiori pensatori dei presocratici. Lalingua, la penna, ovvero la parola e il dialogo è il simbolo della democrazia, e del rapporto umano tra gli uomini.  La spada invece rappresenta la guerra, il dolore, l’ uomo violento ecc.  Beh mi sembra che nonostante l’età questo aforisma possa resistere anche oggi, è ben vero che dalla spada si è passati alle armi di sterminio ma è anche vero che i media influenzano tutta la popolazione. Il problema è, secondo me, che la penna si è messa al servizio della spada, si inizia con le parole un po’ spinte, poi si scrivono parole menzognere, quindi si martella e si insiste e poi alla fine quasi tutti si convincono che la guerra è utile e buona e si sguaina la spada. Intendo la locuzione di Eraclito come se egli intendesse proprio questo, che il fatto è preceduto dalla parola, prima la penna e poi la spada.

Ingoiare o sputare il rospo

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Ingoiare un rospo, io ne ho ingoiati talmente tanti che mi ci sono abituata, forse dipende anche dal fatto che amo i rospi, ho sempre sognato di trasformarne uno in principe, anche se a dire la verità dipende dalla dimensione del rospo. Infatti significa accettare un fatto spiacevole, adeguarsi a una situazione  sgradevole, quindi più il rospo è piccolo più è facile ingoiarlo. Il rospo, nelle credenze popolari, è un animale velenoso, immondo, deforme e anche un po’ magico. Le streghe usavano la pelle del rospo per i loro intrugli. Il nome rospo deriverebbe da “ruspus” che vuol dire ruvido, probabilmente col tempo diventato definitivamente  rospo. Anticamente si diceva anche “ingoiare la rana”. Inoltre nella cultura popolare è viva l’immagine del serpente che cattura il rospo e lo deglutisce e digerisce con grande sforzo. L’opposto, cioè “sputare il rospo”,  quindi dire il segreto, significa confessare la verità, come sappiamo, il rospo ingoiato dà molto fastidio, ma si alleggerisce se lo si confessa a qualcuno. E’ risaputo che tenere dentro di sé un groppo è doloroso, riuscendo a condividerlo si attenua il proprio tormento, un po’ come la confessione in chiesa. A Firenze vi è il cosiddetto “vin ruspo”, un vino dal colore rosato. È detto così perché al tempo della mezzadria, il mezzadro ritardava il trasporto dell’ultima uva e durante la notte, “ruspava”, ne sottraeva un certo quantitativo, al mattino quando lo portava al proprietario il carico era più leggero. Qui il “rospo” invece di ingoiarlo il proprietario lo ingoiava ben felice il mezzadro.

Ogni lasciata è persa

rondine 5Ogni lasciata è persa, significa che nella vita bisogna cogliere qualsiasi occasione e non lasciarsi sfuggire le cose per pigrizia o altro perché quelle perse non ritornano più, un po’ come il detto latino “carpe diem” cioè di cogliere l’attimo. Questo modo di dire è ambiguo perché ci lascia l’amaro in bocca, quando non sappiamo prendere al volo l’evento e all’opposto ci dà euforia quando lo cogliamo in pieno, a me pare un po’ egoista e nichilista oltre a renderci ancora più schiavi del tempo… tempo da non sprecare ma proprio per questo ci rende più dipendenti dagli anni che passano. E poi questo proverbio è nato esplicitamente per  gli uomini, alle occasioni che possono avere o mancare con le donne incontrate… quindi è doppiamente equivoco: ci rende ansiosi di acchiappare l’occasione, cioè la vittoria, ma soprattutto è miseramente maschilista… ma esistono ancora uomini che vanno con donne senza amarle? Credo di sì anzi ora lo fa anche qualche donna.

Una risposta gentile calma la collera, una parola pungente eccita l’ira

IMG20111007110324173_900_700Una risposta gentile calma la collera, una parola pungente eccita l’ira. Questo è un proverbio saggio e antico fa parte del Libro dei Proverbi della Bibbia. Eppure neanche dopo millenni, nonostante la veridicità viene applicato. Senza andare troppo lontano, lo si può ritrovare nella stessa propria famiglia, il figlio che risponde male alla madre, questa si arrabbia, così si litiga e si sta male ambedue. Ampliando un poco pensiamo alle liti in condominio, il cane del vicino abbaia, il tuo no, una parola un po’ acida, una risposta peggiore e si viene alle mani e magari eri a cena a casa sua la sera prima. Ho capito, c’è sempre quello più esagitato, più stressato o che ha la giornata girata male, ma se tu sei più educato e più gentile e non guardi ai suoi occhi iniettati di sangue e gli rispondi magari con un “mi dispiace” tutto finisce lì con un “scusami tu, no scusami tu”. Ma non accade molto spesso, pare che si incontrino sempre due con la giornata di traverso, incavolati già di loro, a cui non pare vero di rifarsi con qualcuno. Oggi poi ancora peggio per futili motivi si ammazzano pure. Quanta violenza io comincio ad averne paura.

Mens sana in corpore sano

carpa 3Mens sana in corpore sano è una satira di Giovenale, poeta e retore romano. Significa che il saggio sa ciò che è effimero e, talvolta, anche dannoso, egli conosce che l’uomo deve aspirare a due soli beni: la salute del corpo e la sanità dell’anima. L’idea che corpo e anima possono crescere e svilupparsi soltanto insieme, è anticipata nel modello di scuola e educazione proposto da Aristotele nella Politica dove si afferma anche un’antitesi tra corpo e mente: la ginnastica sviluppa il coraggio e deve essere temperata dallo studio della musica, per evitare l’eccesso, che il coraggio diventi ferocia. Questa locuzione è stata a me molto utile, l’ho usata per allevare mio figlio, ripetendogliela allo sfinimento, convinta che l’anima debba essere acculturata da tutte e nove le muse e dalla religione che ti dona la Fede, che nei momenti bui ti salva e il corpo nutrito in modo giusto: né troppo, né poco e tenuto in forma, “oliato”, e correttamente sviluppato dallo sport, che insegna anche a saper perdere o vincere, lo spirito di squadra o il momento in cui fai i conti con te stesso: nella sfida sportiva e più tardi nella vita. Oggi la validità del proverbio è stata certificata anche dalla scienza, la depressione, il panico possono essere combattuti se si riesce a muoversi, facendo ginnastica, è come se il cervello impegnato nei movimenti allentasse la presa nella psiche. Individui fisicamente attivi hanno alti livelli di autostima e più bassi livelli di ansia. Una buona forma fisica è stata associata a un buon lavoro dei neuroni della memoria e dell’attenzione. Gli studenti che sono fisicamente attivi presentano maggiore attenzione durante le lezioni rispetto a studenti sedentari.