Archivio tag: poesie
Ande dri a e’ carèt
Ande dri a e’ carèt
Giorni di ansia, con tanti cerini
accesi nel sangue che frigge
e gira veloce attizzando ventoso
i miei elettrici e spiritosi neuroni
affollandomi di corrispondenze.
Perdona il povero pazzo poeta
un po’ deve pure giocare per non
impazzire col differenziale di potenziale
così Baudelaire mi diventa bau de l’aire
il cane che abbaia al vento per arrivare
a Duchamp e l’air de Paris per passare
al vento dylaniato, ma ande dri a e’ carèt
Che faceva il poeta maledetto ebbro di vino,
di poesia o di virtù? Che facevan tutti e tre?
Le civette sul comò? No, no, no, no skàndalon,
facevano. Inciampavano, chi sulle parole come sui ciottoli,
chi sulla madre o sul mutare, chi davanti al Santo cantando Knockin’ on Heaven’s door.
Se qualcuno vuol venire dietro a me, troverà la pietra che fa inciampare, se qualcuno vuol venire…
Adesso che invecchio
Adesso che invecchio
Adesso che invecchio e m’avvicino
ad essere saggia o forse mi sbaglio
e continuo e manipolo col solito
gioco, indorando col riso il dolore
e facendo lo struzzo. M’invento e
fingo di essere assente, mentre
svoltolo il settimo sigillo, altro
che piena di senno, son farisea
e zelota, nel pestare e tritare con
spirito vitale lo zero del nulla, che
qualsiasi numero elevato a zero
fa Uno. E chi è quell’Uno? Ecco
io non lo so, ci credo, non so se
per indole alle fole, però l’ho colto
e me lo tengo stretto. Adesso che
invecchio, perdono e assolvo la
capra e la pecora nera, ossia chi
sbaglia per amore o per odio, chi
si mette in gioco e paga con strazio
e tormento, ma non reggo più, sì
non reggo più, chi segue per moda,
per noia, per stare nel gruppo del club
esclusivo, il chiasso del turpe e del vizio
che porta all’abominio nell’indifferenza.
Satolli di Bacco e baldracco o forse
gli occhi coperti dal nero colbacco
confusi e scordati, che ogni numero
diviso per zero va all’infinto, mentre se
elevato in potenza si risolve nell’Uno.
Paola Tassinari alias teoderica
Il tempo
A Gentile
A Gentile
E io che amo le parole e le
audaci scelte del pensiero
cortese, dal cor mi prende
ricordar il Gentile e un fior
voglio donare. E se tu non
sai cosa voglio dire, taci.
Non sai di ciò che scrivo,
se di uccellini o uccellacci
se di usignoli o sparvieri, taci,
che il rimar se mostra l’ugne
lo fa senza asso, tasso o lucro,
il poeta lo sa che passerà per
folle o per somaro, ma sa che
dopo l’inferno vengon le rose
sa che gli eroi di carta seguono
e vanno col vento della fortuna
Paola Tassinari alias Teoderica
Nomen omen
Piccolo giardino assetato
Piccolo giardino assetato
E cantavi, e sorridevi amaro,
saltellando con ritmo come gli
antichi Salii e Arvali, con pelli
di pecora poetavi nel deserto.
Un po’ santo, un po’ pazzo. Te
andasti nel giorno in cui la cenere
s’alza e s’invola al sacro. Rimavi,
remavi, ridevi e ripetevi: Non sia
Marmar, che peste e rovina si
abbattano su noi, sii sazio, feroce
Marmar, ma chi ti ascolta? Alle
genti col piglio del giusto diritto,
stimolano, spronano, sobillano,
santificano: a Marmar, a Marmar!
Non senti come suona dolce e soave,
sweetness e sirenoso? Lui è Marte che
quando lo lasciano stare, innaffia ed è
il custode dei giardini, che oggi sono assetati di acqua e di pace.
Paola Tassinari alias Teoderica
Amore mio lontano
A Gentile
A Gentile
E io che amo le parole e le
audaci scelte del pensiero
cortese, dal cor mi prende
ricordar il Gentile e un fior
voglio donare. E se tu non
sai cosa voglio dire, taci.
Non sai di ciò che scrivo,
se di uccellini o uccellacci
se di usignoli o sparvieri, taci,
che il rimar se mostra l’ugne
lo fa senza asso, tasso o lucro,
il poeta lo sa che passerà per
folle o per somaro, ma sa che
dopo l’inferno vengon le rose
sa che gli eroi di carta seguono
e vanno col vento della fortuna
Paola Tassinari alias Teoderica
S’agapo (Ti amo)
S’agapo (Ti amo)
Primo amore, primo amore,
baci, sogni di mughetti bianchi,
Campanellini e Peter Pan e ti
ho scelto per il figlio che porto.
Ma il minio spagnolo del tango,
del duende, del sangue e della
muerte, come un serpente con
l’ancestrale desiderio antico, di
disfare e di vincere la morte con
estasi infinite, sfinite e infin finite,
prende e ti porta dolce per mano.
Oh poeti perché c’avete accecato
coi brilli banchetti dove piluccando e
spizzicando o divorando si perde il
senno mietendo il grano e il miglio?
Ti offri sull’ara d’amore e più su e più
su, infin lassù, infin cadi giù, cenere
nel vento e lui non l’intrighi più. Ti
ricorderai allora del filo di Arianna
e con fatica, come hai sempre fatto,
casta, nuda e vulnerabile, ti amerai e
sarà talora, quando anche sola sarai
felice, allora forse darai la cima dello
spago, solo a chi in te vedrà la Cnidia.
Paola Tassinari