IVAN

IVANIVAN

 

Un mese dopo l’arrivo di Pierino, superato il dispiacere per la perdita di Igor II, comprammo per la seconda volta un cane di razza  Pinscher.

Lo chiamammo Ivan perché era piccolo piccolo ma voleva comandare solo lui.

Lui voleva mangiare per primo.

Lui voleva stare in braccio e non voleva che facessimo le coccole agli altri cani.

Se la prendeva con Pierino, facevano la gara della pipì.

Pierino alzava la gamba e faceva la pipì per marcare il territorio. Arrivava Ivan ed andava a marcare il territorio nello stesso punto di Pierino, allora ritornava Pierino a rimarcare il territorio, poi ritornava Ivan, sempre così fino a che alla fine Ivan scoppiava ad abbaiare arrabbiato, tremando furibondo.

Voleva vincere ma non aveva pazienza.

Si credeva un tombeur de femmes e non era capace di fare niente.

Era impotente.

Soffriva anche di epilessia.

Era sempre arrabbiato con tutti.

Era sempre arrabbiato col mondo.

Era sempre arrabbiato con Pierino, ma quando era freddo stava nella cuccia al caldo sotto al pelo spesso e lanoso di Pierino.

Se ne andò qualche mese dopo Pierino, come se senza il suo nemico non potesse vivere.

NERINA

NerinaNERINA

Erano appena arrivati Pierino ed Ivan che ci proposero un’altra cagnolina tutta nera, tutta arruffata.
Altrimenti l’avrebbero portata al canile.
Dove ci stanno due cani ce ne possono stare anche tre.
La tenemmo.
Nerina era una signora.
Aveva charme ed eleganza.
Sembrava che camminasse coi tacchi.
Guardava con sufficienza le lotte di potere fra Pierino ed Ivan.
Mangiava composta, sempre per ultima.
Non chiedeva attenzioni.
All’esuberanza di Ivan e Pierino contrapponeva una calma serena.
Il suo modo di dimostrare gratitudine era di mettersi a pancia all’aria con le gambe alzate. Aspettava che tu le grattassi il ventre. Poi si alzava e si stendeva al sole.
Era matura e dolce, se gli altri due cani esageravano nell’irrequietudine, lei li metteva in riga.
Era lei il vero capo.
Era autorevole.
Pierino riuscì ad eludere la nostra sorveglianza, e la mise incinta.
Nacquero quattro cagnolini, due maschi e due femmine.
Trovammo una casa per tre di loro, l’ultima la più debole la tenemmo, anche perchè non avemmo cuore di lasciare Nerina senza nessun figlio.
Nerina rimase incinta una seconda volta.
Rischiò di morire. Questa volta ne aveva uno solo che nacque morto.
Aveva diciannove anni quando se ne andò silenziosa, in punta di piedi.
Un’età considerevole.

IGOR E IGOR II

Igor e igorIGOR E IGOR II

Dopo che Beta, il piccolo cane bastardino, se ne era andato, per la prima volta comprammo un cane.

Un cane di razza Pinscher.

Lo prendemmo in un negozio di animali.

Lo chiamammo Igor.

Lo portammo dal veterinario perché non sembrava molto sano, sembrava non vedere bene.

Il veterinario disse di portarlo indietro al negozio perché il cane non era sano, il suo handicap lo avrebbe portato alla cecità completa.

Lo riportammo al negozio, con senso di colpa, ma lo riportammo al negozio. Qui, ci diedero il fratello di Igor, che chiamammo Igor II.

Sentivo di essere stata crudele con Igor, ma l’affetto, l’allegria ed il carattere esclusivo di Igor II, mi fecero dimenticare presto la mia insensibilità.

Igor II piaceva atutti, i vicini di casa spesso me lo chiedevano in prestito, perché Igor II aveva la capacità di rallegrare.

Era speciale, sapeva rasserenare.

Una domenica, venni a casa dal mare più tardi del solito. Come aprii il cancello, Igor II fece finta di salutarmi, poi veloce passò tra le gambe e scappò. Era arrabbiato perché avevamo fatto tardi. Lo inseguii, ma era buio;vidi un’auto fermarsi nel piazzale della casa della vicina in cui Igor II era solito andare per farmi dispetto, e raccogliere qualcosa…ma non ci feci caso.

Pensai che la vicina se lo fosse messo in casa per precauzione.

La mattina dopo, mi alzai presto, cercai il cane dappertutto,passai casa per casa per un raggio di due chilometri.

Misi volantini.

Misi annunci.

Nulla da fare, Igor II non si trovò.

Era la giusta punizione perché avevamo rifiutato Igor II.

BETA

BetaBETA

Prima che il cane lupo Laika morisse, era arrivato Beta, il cagnolino di mio figlio.
Mio figlio era andato col nonno da contadini che abitavano qualche chilometro più in là, ed era tornato a casa con Beta un batuffolo di appena quaranta giorni.
Era sceso dal furgone del nonno col cane in braccio: – Mamma, mammaa, mammaaa, guarda- .
Beta era un bastardino maschio dagli occhi dolci, dolci.
Fu un amico sincero, giudizioso, maturo.
Dava amore a fiumi, troppo amore dava, troppo.
Una volta mio figlio aveva preso il coltello dal nonno, mio padre era un norcino, e stava quasi usandolo su Beta.
Arrivai appena in tempo.
Spaventatissima.
Gli presi il coltello e gli dissi: – Cosa stai facendo?-.
Lui rispose: – Faccio come il nonno col maialone-.
Beta stava lì fermo, docile si sarebbe fatto anche uccidere.
Arrivò Bull, cucciolo di pastore tedesco.
Riversammo l’attenzione sul nuovo arrivato.
Non ci accorgemmo che Beta non stava bene.
Lo trovammo nel suo cespuglio preferito.
Gli animali quando sentono di dover morire, si nascondono.
Hanno molto pudore.
A me rimane il dubbio che sia morto là nel cespuglio da solo per non intristirci, che sia morto perchè non si sentiva più amato.
Dava amore a fiumi.
Troppo amore dava, troppo.

CATERINA

CaterinaCATERINA

A quindici anni si era innamorata di Carlo, dai capelli biondi e gli occhi neri.
Lo guardava passare coi suoi amici, una fila di ragazzi sui motorini ruggenti.
Lo guardava e sognava.
La sua amica del cuore le aveva confidato che esistevano profumi inebrianti che facevano perdere la testa.
Caterina non credeva a queste sciocchezze ma, forse in questo caso, forse lei aveva odorato quel profumo senza accorgersene ed ora era come se non fosse più padrona di se stessa.
Quando vedeva Carlo, il cuore le batteva forte, la testa le pulsava, stava male.
Carlo non le aveva mai rivolto uno sguardo.
Un giorno all’ingresso del cinema, incrociò lo sguardo di Carlo.
Si sentì ardere tutta, le pareva che le fiamme la bruciassero dalla testa ai piedi e dai piedi alla testa.
Come in trance, si sedette accanto alle amiche, su una poltrona.
Avvertì, poco dopo, una scossa dietro la nuca. Non si girò, sapeva chi c’era dietro di lei.
Stava tinca come un pezzo di ferro.
Poi Carlo le girò la testa e la baciò.
Caterina inspiegabilmente diede una sberla sonante in faccia a Carlo.
Gli amici di Carlo risero a crepapelle, deridendolo.
Caterina piombò nello sconforto. Perchè gli aveva stampato in faccia quelle cinque dita che ancora erano impresse sul volto di Carlo, anche dopo la fine del film?
Perchè?
Perchè?
Perchè?
Passarano gli anni, diciamo così, nel mezzo del cammin di sua vita, Caterina si sentì sola e respinta. Aveva tanta voglia di amore e non sapeva a chi darlo.
Le mancava l’amore cantato dai poeti.
Fu così, per caso, che navigando nel Web, incontrò un nuovo Carlo.
Cosa accadde?
Fu forse il nuovo profumo inebriante di Internet?
Furono i suoi ormoni impazziti?
O voleva solo fuggire da una vita reale che non le piaceva più e rifugiarsi nei sogni?
Comunque siano le ragioni, Caterina si ritrovò in fiamme, la testa folle, il corpo scosso da brividi, stava male.
Caterina si sentiva ammalata e non le piaceva proprio per niente stare così.
Non aveva più voglia di fare niente, neanche di mangiare e fumava come un turco.
Aspettava con pazienza che passasse.
Capì che l’innamoramento che non ti rasserena e ti fa star male, non è amore è solo follia.
Capì quante panzane sono state raccontate su questo tipo d’ amore.
Adesso lo sai Caterina perchè quel giorno a Carlo mollasti un ceffone.

 

RINGO

RingoRINGO

 

Ringo, il cane numero tre, è stato il tuo compagno inseparabile per quattro anni.

Gli anni della fanciullezza, dove hai fatto lescoperte più interessanti.

Ringo era il più bello di tutti.

Tu in bicicletta e lui ti correva accanto mordicchiandoti i talloni dei piedi.

…e rideva, rideva, voi non ci crederete ma lui rideva; alloragli cantavo la canzone di Little Tony: “Riderà, riderà , tu falla ridere perché…”, allora Ringo stava serio sino alla fine della canzone, poi rideva, rideva e mi leccava i talloni dei piedi.  Poi scendevo dalla bicicletta,mi chinavo,gli prendevo il muso fra le mani, lo guardavo fisso, fisso negli occhi e gli dicevo in dialetto, non so perché agli animali parlo solo in vernacolo, lo so il perché invece, è perché trovo il dialetto romagnolo più naturale dell’italiano e gli animali sono più naturali di noi.

Riprendo, gli dicevo in dialetto …coma l’è bel, l’è bel coma e’ sol ( come sei bello, sei bello come il sole, ) e poi gli baciavo il muso umido.

Ma poi ce ne andammo, Ringo dissero che non si poteva portare con noi, sarebbe rimasto con la nuova famiglia. La nuova famiglia ti avrà voluto certamente più bene di me Ringo, perché tu non hai fatto come Bobi, non hai sentito il mio odore, non sei venuto da me. Lo sai, ero vicina, solo qualche chilometro più in là.Ti ho aspettato tanto, ma forse tu hai pensato che non ti volevo più.

Ringo dove sei ora?

GIOVANNI

giovanniGIOVANNI

Giovanni è ghandiano, cristiano, mazziniano.

Non ricordo se l’ordine è esatto, scusami Giovanni, lo so che tu dai importanza anche all’ ordine dei tuoi amati grandi.

Io ho messo Ghandi per primo, perché mi ricordo l’ unica volta che ti ho visto un po’ arrabbiato; fu quando mi parlasti della Manuela Pompas ed io ti dissi che non credevo alla reincarnazione.

Giovanni è un pacifista.

Lo era già negli anni sessanta.

Partecipò alla prima Marcia della Pace di Perugina/Assisi, ora non partecipa più, perché non crede che quelli, ora, abbiano inteso bene cosa vuol dire pacifismo.

Giovanni è un vegetariano. Non mangia la carne, ama veramente gli animali, anche gli insetti; è anche contro i medicinali, usa il metodo “del temprarsi”, porta la maglia di lana anche d’ estate…dove non passa il freddo non passa neanche il caldo.

Giovanni è un insegnante di esperanto, credeche i mali del mondo arrivino principalmente dalla torre di Babele, perché le persone non parlano la stessa lingua.

Giovanni ha due lauree , ma non ha mai lavorato, il padre ,che lo conosceva bene, lo ha assecondato. Giovanni fa volontariato, porta la sua parola, il suo esempio dappertutto.

Giovanni si muove solo con la bicicletta, non vuole inquinare, e con la bici va anche molto lontano.

E’ da un po’ che non vedo Giovanni, mi sono informata, i tuoi amici mi hanno detto che un camion ti ha investito, mentre andavi con la bici. Ti sei rotto una spalla, gli antibiotici che ti hanno dato ti hanno intossicato. Non esci quasi più da casa perché hai bisogno di andare spesso al bagno.

Ti abbiamo fatto una piccola magia…il postino mi ha fatto vedere una lettera, il cui destinatario viveva nel mio paese tanto tempo fa. C’ era scritto nome e cognome, dedica ( per i sessanta anni di matrimonio) ma non c’ era l’ indirizzo, il mittente eri tu Giovanni. Non volevamo che la lettera ti tornasse indietro. Il postino mi ha lasciato la lettera. Ho fatto indagini. Sono riuscita ad avere l’ indirizzo attuale del destinatario.

Il postino si è preso l’ onere di recapitarla anche se non è il suo giro e deve fare chilometri extra.

E’ il nostro modo per dirti che ti siamo vicini.

Ghandiano, Cristiano, Mazziniano.

LUCIANO

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Agli inizi degli anni  ’70 Luciano ha venticinque anni ed io ne ho dieci, ed eravamo amici.
Luciano era diversamente abile, all’epoca si diceva : mancante di qualche rotella, così dicevano gli avventori del bar, dove io dovevo aiutare servendo ai tavoli. Per questa sua qualità percepiva una pensione, non doveva lavorare, e stava tutto il giorno al bar, fumando e chiaccherando con me. Luciano, sapendo quanto mi piaceva la musica mi portò un giradischi e tutti i dischi che aveva a casa, purtroppo erano tutti di Castellina e di Casadei cioè musica folk romagnola. Luciano mi chiedeva quali volessi, ma io non lo sapevo, gli dicevo…quelli moderni. Una volta arrivò con ObladiOblada dei Beatles…ecco gli dissi compra dischi come questi. Da allora il bar fu invaso dalla musica dei Beatles, ed io e Luciano cantavamo divertendoci ; gli altri clienti protestavano, volevano qualche valzer, ma il giradischi ed i dischi erano di Luciano, e Luciano metteva solo la musica che piaceva a me.
Poi qualcuno andò a dire a mio padre: ” Tu ti fidi troppo a lasciare una ragazzina con uno scemo, non si sa mai cosa può passare in testa ad uno così”. Tutti, i clienti furono d’ accordo, è pericoloso lasciare una bambina accanto ad uno che non è a posto con la testa, tutti furono d’ accordo, anche chi con la scusa di farti un complimento ti toccava le gambe e tu percepivi qualcosa di anomalo, mentre mai avevi percepito anomalità in Luciano.
A Luciano fu impedito di frequentare il bar, mi lasciò il giadischi ed i dischi, io ormai avevo capito che era inutile ribellarsi, era meglio assoggettarsi e far finta di niente.
Luciano non l’ ho più visto, anche se abitiamo a pochi chilometri, ho chiesto a suo fratello Francesco di poterlo vedere, mi ha detto che Luciano non vuole vedermi, ma che ha sorriso quando Francesco ha pronunciato il mio nome.

LUISA

2LUISA

Luisa 17 anni ed un bimbo di 10 mesi.
La mattina dopo Luisa doveva alzarsi presto, l’ aspettava una giornata lunga e faticosa: la raccolta dell’ uva, che non ha niente di bucolico, anzi è un lavoro duro e sporco.
Si mise a sfaccendare in cucina, iniziò a preparare la cena per la sera dopo, mise in forno un pollo con patate.
Il suo bambino, Marco, intanto si divertiva a muoversi da una sedia all’ altra, girando attorno alla tavola; era una conquista per lui fare piccoli passi, tenendo le mani staccate da qualsiasi appoggio. All’ improvviso si aggrappò alle gonne della madre e da lì velocemente appoggiò le palme aperte sul vetro del forno bollente.
Luisa staccò le mani di Marco, che erano incollate al vetro, le urla del bimbo invadevano le sue orecchie ed un dolore sordo le batteva nel petto. Le palme di Marco erano carne viva, rossa e sanguinolenta, orribili a vedersi, Luisa le mise sotto il rubinetto dell’ acqua fredda, lo fece per istinto; poi col bimbo in braccio corse a chiamare aiuto.
Una folle corsa verso l’ ospedale, Luisa cullava il suo bimbo piangente, un dolore sordo la dilaniava, sentiva i battiti forti e veloci di Marco che battevano all’ unisono con i suoi. Arrivati al nosocomio, Marco fu curato, le ustioni erano di terzo e quarto grado, le mani furono fasciate come quelle di un pugile. Poco dopo, Marco cullato da Luisa si addormentò, sfinito.
Luisa lo teneva contro al suo cuore e sentiva la sua forza vitale entrare in quella del figlio, sentiva che lui sentiva che sua madre voleva che dormisse, che il sonno lo ristorasse, il bimbo dormì tutta la notte ed al mattino era allegro e non più dolorante. Le mani a poco a poco guarirono; ora Marco è grande ma ha ancora i polpastrelli segnati dalle bruciature.
Nonostante tutto, Luisa di quella notte ha un bel ricordo, quello in cui si è sentita all’ unisono col figlio, come se lui fosse stato ancora legato a lei dal cordone ombelicale.
Luisa è sicura che Marco ha sentito tutta la forza del suo cuore.

NATASCIA

NatasciaNATASCIA

 

Natascia usciva con le cugine.

Le cugine erano più grandi di lei.

In auto parlavano di esistenzialismo, di morte, di fuliggine, di nero.

Natascia non capiva, a lei pareva tanto bella la vita.

Le cugine le volevano bene le dicevano : – Tu non sai niente- , ma se la portavano dietro, anzi convincevano il babbo a farla uscire con loro, anche se Natascia era troppo piccola per fare la ragazza.

Una sera dovevano andare al concerto all’ aperto dei Nomadi.

Pioveva a dirotto.

Andarono lo stesso.

Non c’ era quasi nessuno, quattro gatti in tutto.

C’ erano i Nomadi però e suonarono e cantarono lo stesso!

Natascia rimase sconcertata, quando sentì… Dio è morto, le pareva blasfemo, che importa il brutto, c’ è il bello che lo lenisce, Dio non può morire, pensava.

Alla fine del concerto, il gruppo musicale venne al loro tavolino.

A Natascia non piaceva il cantante, era così peloso, le piaceva il chitarrista.

Il cantante aveva al collo un legaccio di cuoio con un lungo dente inciso, era di leone forse?

Natascia ne era attratta forte, già con la fantasia pensava al leone, alla savana, all’ Africa, ai viaggi avventurosi, alle favole, al mito.

Ad un tratto, una delle cugine disse: – Mi regali il tuo legaccio col dente?-.

Il cantante se lo tolse e porse con garbo il dente nelle mani della cugina di Natascia.

La cugina ringraziò, ma il cantante non contento alzò il mento a Natascia, la guardò negli occhi: – Lo volevi tu?-

No, no, no – allarmata, chinando il capo rispose Natascia.

Natascia non parlò più, il chitarrista non le interessava più, il cantante l’ aveva colpita, non le piaceva, era peloso, ma tu Natascia sapevi che lui ti aveva scoperto.

Il cantante dei Nomadi la vita lo ha lasciato troppo presto, tu hai fatto la veglia di notte ascoltando la loro musica nel ricordo di uno sguardo.