BRONCO

BroncoBRONCO

 

Fra tanti cani un gatto.

Era stato trovato piccolo e spaurito, con una zampa rotta, lungo il fiume Ronco.

Per questo il suo nome fu Bronco.

Bronco era un amore di gatto.

Grande era lo stupore del vicinato per questo gatto, chestava in mezzo ai cani e strusciava le gambe a tutti.

Ci fu chi a suon di croccantini lo viziò.

Lasciò così la sua casa sempre più spesso, andando ramingo fra le case vicine che se lo contendevano a suon di agi.

Qualche volta tornava alla vecchia magione, grasso inquartato, ti strusciava le gambe e se ne andava via.

E poi.

E poi le vicine ti dissero: – Bronco non si vede più, perché lo tieni chiuso in casa ? Era la nostra sola compagnia-.

_ Ma Bronco, non lo vedo più neanch’ io -.

Dov’ era Bronco?

Lo trovasti in una colonia di gatti selvatici che viveva nell’ oasi incontaminata del paese.

Non volle saperne di tornare a casa.

Ma un giorno tornò, mesto, dolorante e maciullato.

Il veterinario disse:– Meglio fargli un’ iniezione pietosa-.

No, io lo curerò-.

Così Bronco campò per un altro mese fra dolori indicibili, poi, poi, poi.

Tutto finito.

Qualche tempo dopo ti dissero che Bronco non era morto per le ferite dovute alla lotta fra gatti, come tu credevi.

L’ ortolano lo aveva lapidato con pietre e sassi perché andava a rovinare l’ insalata.

MARIA

mariaMARIA

Nata alla fine del milleottocento.
Tempi duri per le donne quelli.
Gli uomini sono alla guerra e a loro tocca portare avanti la famiglia da sole.
Per quelle in età da marito la scelta è parca. Alla fine della prima guerra mondiale sono rimasti pochi uomini e dei superstiti parecchi sono menomati.
A Maria non importa di rimanere zittella.
Ma il giorno della fiera, conosce un giovanotto che sa leggere il giornale.
Per Maria fu amore.
Il giovanotto, lei che non sa leggere e non sa scrivere, la incanta con i racconti che legge dai libri.
Maria le belle favole le aveva ascoltate solo in chiesa, ora scopre nuove maniere per sognare.
Si sposa.
Ha otto figli, quattro maschi, quattro femmine.
Figli partoriti al lavoro e tirati su nel rispetto delle leggi e della chiesa.
Ha una nidiata di nipoti.
Nipoti che l’ abbracciano come Anteo con la madre Terra.
A sessant’ anni impara a leggere e scrivere. La Parrocchia aveva ricevuto dei fondi dal Comune per organizzare dei corsi per la licenza elementare. Le chiesero di aderire per far sì di raggiungere il numero minimo degli iscritti richiesti.Lei accettò. Realizzò il sogno più recondito e desiderato solo per generosità, mai avrebbe chiesto qualcosa solo per lei.
Un ictus la colpì, pochi anni in carrozzella, poi morì a Firenze.
Maria siedi alla destra del Figlio.

 

LA MAESTRA ANNA

Maestra anna 1LA MAESTRA ANNA

Al nostro piccolo paesino di campagna, capitò che alla scuola elementare, dove le maestre erano sempre le stesse, per genitori, fratelli e sorelle, una maestra nuova.
Anna era il suo nome.
Ed era la mia maestra.
Io la amavo ma nascondevo il mio affetto dietro l’indifferenza, perchè io ero la sua preferita e le mie compagne mi avevano detto:
– La maestra vuol bene solo a te.-
La maestra sapeva della mia passione per i libri,
in quarta elementare avevo già letto tutti i volumi presenti nella biblioteca della scuola, lei così me li portava da casa sua, mi aveva spiegato che non sarei mai rimasta senza lettura perchè i libri non sarebbero mai finiti.
Un giorno mi portò un vocabolario con la copertina rossa, io non sapevo cos’ era un vocabolario, lei mi disse…ti piacerà, tienilo questo è per te…è tuo. Sulla prima pagina scrisse la dedica col suo nome e cognome.
Mio padre non fu contento di quel regalo, disse che non andava bene accettare un dono così importante ( alla fine degli anni sessanta un vocabolario era una cosa costosa). Mi accompagnò a scuola e parlò con la maestra, ella disse che a casa ne aveva tanti ed era un regalo che faceva a sè stessa il darlo ad una scolara che amava così tanto i libri.
L’ anno scolastico finì, tornai a scuola per frequentare la quinta elementare, la maestra Anna non c’ era più, mi dissero che era una supplente e che non sarebbe tornata più perchè aveva avuto il posto fisso a Ravenna.
Gli anni passarono, la maestra Anna è sempre nel mio cuore. Tentai anche di rintracciarla, ma dal vocabolario rosso, che ancora possiedo, manca una pagina : quella con la dedica e la sua firma ed io non ricordo il suo cognome.
Nessuno si ricorda più di lei, perchè rimase al paese solo un anno. Al Provveditorato degli Studi dove mi sono rivolta, hanno tanto da fare e non hanno tempo per cercare una persona solo col nome e l’ anno della sua supplenza.
Questo racconto è per tutte le brave maestre, se a volte vi sentite stanche e deluse…bè pensate che forse da qualche parte vi è una scolara ormai matusa che vi vuole bene ancora, che vorrebbe dirvelo ma non riesce a mettersi in contatto.

ROSA SENZA SPINE


rosa senza spineROSA SENZA SPINE

Rosa era il tuo nome.
Cosa aveva di speciale Rosa?
Rosa era una rosa senza spine.
Dava, dava, dava,
Tutti prendevano a piene mani.
Lavorava instancabilmente dalle quattro di mattina alle nove di sera, in casa, nei campi, in chiesa.
Era felice se gli altri erano felici.
Era triste se gli altri erano tristi.
Dava, dava, dava.
Chiedevano, chiedevano, chiedevano, chiedevano di più.
E lei sorrideva.
Ma un giorno non sorrise più.
Disse:”Hanno detto che penso solo a lavorare, che non so amare, che non ho tempo per gli altri, che penso solo alle mie cose da fare, che neanche i bambini vogliono giocare con me, hanno detto questo di me, di me che ho cercato e dato solo amore, ed io ora sono stanca ed addolorata” .
Rosa, il tuo corpo si è ribellato a ciò che l’ amore lo aveva costretto.
Sei finita in un letto, immobile, non parlavi, comunicavi solo con gli occhi belli.
Non mi vengano a dire che è giusto essere buoni.
Non mi vengano a dire che è giusto amare.
Se la natura ha fatto le rose con le spine …ci sarà un motivo.

IL SIGNORINO

Il signorinoIL SIGNORINO

C’ era una volta una casa in campagna, era un po’ come il paradiso terrestre, c’ erano prati con cavallette uguali identiche a cavallucci marini, solo che invece che essere blù erano verdi ed il cielo era sempre stellato e c’ era un albero grande, grande magico, dove si poteva sognare.
C’ erano poi pulcini, pulcini ai quali si mettevano gli occhiali, sì è vero avevano piccoli occhiali di plastica…chissà poi perchè…forse per non farli ammalare.
Poi c’ erano paperi, gialli e neri, non c’ era niente di più bello dei paperi gialli e neri.
C’ era anche un cagnolino, un delizioso cagnolino che dava baci solo quando ne aveva voglia, era un po’ dispettoso, quando non aveva voglia di leccarti sembrava che ti dicesse…me ne fotto di quello che vuoi tu.
Accanto c’ era una villa, bella, tu c’ eri andata di nascosto e ti eri pure sdraiata su quel letto rosso, nella biblioteca piena di libri, i padroni non venivano mai, avevano un’ altra villa, quindi non facevi nulla di male, certa gente non sa quello che ha, quindi è come se non l’ avesse.
E dov’ era il signorino, erano due in realtà, belli e biondi, sembravano usciti da un libro di Dickens, erano belli e biondi e non capivano un cazzo.
Avevano tutto, ma proprio tutto e si permettevano di prendere la tua amata bicicletta, di farla cadere, non capivano, vedevano i pulcini e se li portavano via, e pensare che LeviStrauss che amava la sua scimmietta, la lasciò nel suo ambiente, non capivano niente.
Il signorino si portò via il pulcino, il povero pulcino abituato al sole della Romagna, lo portò a Milano, come se un galletto romagnolo potesse vivere fra i cornicioni dei tetti di Milano, infatti finì poi nella padella, sarebbe finito in padella lo stesso, ma a volte morire in un posto o in un altro fa la sua differenza.
Il signorino che a te piaceva tanto, pareva il principe delle favole, è ritornato, triste ed infelice, ti ha detto che se voleva tu saresti caduta ai suoi piedi, ti ha dato della provincialotta, ma all is love, all is love.

JONATHAN

JonathanJONATHAN

Mi hanno detto che sulla spiaggia della Versilia sono arrivati i cigni.
Poi sono stati avvistati anche a Jesolo sul mare Adriatico.
Intanto che aspetto che i cigni arrivino sulla mia spiaggia a Marina di Ravenna, penso a Jonathan il gabbiano.
Vado alla spiaggia, seguo il volo dei gabbiani, le loro evoluzioni ed immagino di volare come Jonathan.
Jonathan è diventato per me una sorta di talismano.
Immaginatevi il mio rincrescimento quando ho trovato, mentre stavo passeggiavo sulla battigia, Jonathan spiaciccato con le ali aperte come un Cristo in croce, morto stecchito.
Il mio disappunto è stato tale, che un pescatore mi si è avvicinato: “… lo sa che i gabbiani mangiano gli occhi dei pesci? Sono ghiotti per gli occhi. Noi pescatori abbiamo trovato nelle reti tanti di questi pesci senza occhi, sono i gabbiani, questi uccellacci che li rendono ciechi, ma ora sono arrivati i cormorani. La sera al porto i gabbiani li attaccano, ma i cormorani rispondono e pare che l’abbiano vinta su di loro”.
Non sorridete, ma io che di solito nuoto a dorso, ora quando vedo un gabbiano in picchiata, noto i suoi occhi cattivi e penso che forse gli piacerebbe, col suo becco aguzzo, prendermi gli occhi.

 

PAVOLA

PavolaPAVOLA

Si svegliò e si vide.
Esisteva.
Scese dal letto appoggiando un piede a terra, sentì duro e freddo, ebbe un brivido di piacere. Le piacque.
Passo dopo passo si trovò a non poter andare più avanti, ma vide la luce, andò con la mano là e con sorpresa la luce aumentò, poteva andare avanti. Arrivò ad una lunga scalinata, sapeva che poteva andare avanti, che doveva andare avanti. Gradino , dopo gradino scendeva, inizialmente con la schiena attaccata al muro, poi sempre più spedita; si ritrovò con lo stesso spiraglio di luce, ora sapeva che andando con la mano là verso la luce e spingendo sarebbe andata avanti. Questa volta fu più difficile, ma insistendo riuscì ad aprire.
Quanta gente, tante persone come lei, ebbe paura.
Una voce gaia disse:” La piccola si è svegliata, fate posto a tavola, questa mattina mangia con noi”
Pavola capiva le parole, ma non riusciva a rispondere, voleva ma non vi riusciva.
La misero a tavola, lei si sentiva piccola, gli altri erano come lei, ma erano grandi, ed altri ancora più grandi.
La stessa voce di prima venne accanto a lei, le piacque tanto, la amò per prima, le mise nel piatto qualcosa che a lei parve buono, buonissimo. La voce era della nonna:” mangiala è buona, è zuppa di cipolle, c’ è anche il pomodoro”.
Finito di mangiare lei rimase sola, tutti andarono via di fretta, la nonna la prese per mano: ” Vieni con me, ti porto fuori”.
Fuori… fuori c’ era la luce, tutta luce, era blù… ” Là è il cielo e lì la terra ” disse la nonna, sotto ai piedi c’ era qualcosa, Pavola si chinò e prese con la mano una cosa calda e strana, le piaceva, sarebbe rimasta volentieri a frugare lì con tutte e due le mani.
La nonna parlò ancora : ” Tornate indietro, prendete anche la Pavola, anche a lei piaceranno le ciliegie”.
Quello che era il nonno, tornò indietro, la prese per mano, la accompagnò ad un carro, spiegò che serviva per la raccolta delle ciliegie.
Attaccato al carro c’ era qualcosa che Pavola decise che le piaceva molto, era come lei e allo stesso tempo diverso, grande, bello, bello, il nonno disse che era un somaro e meraviglia delle meraviglie il nonno la prese sotto le braccia e la mise sopra al somaro.
Altri volevano salire sul somaro, ma il nonno:”La Pavola non può camminare a lungo, è piccola, voialtri avete le gambe buone, camminate”.
Fu così bello, e le sorprese non erano finite.
Arrivarono in un posto grande, grande, bellissimo, tutto blù e verde, il cielo e l’ erba, le piacque tanto, tantissimo l’ erba.
Le diedero in mano delle cose rosse, un nuovo colore, un colore importante, Pavola le guardava… erano belle, bellissime.
” Ma che fai stupidina, mangiale, mangiale”.
Ma Pavola non voleva mangiarle, le piaceva troppo guardarle.
Qualcuno le aprì la bocca, le mise dentro la cosa rossa, lei schiacciò i denti, buono, ma che miracolo è questo, buono, più buono della cipolla col pomodoro… erano le ciliegie.
Quel giorno Pavola decise che le piaceva essersi vista per la prima volta, le piaceva quello che era e dove era.
Le piaceva esistere.
Pavola è nata in agosto, le ciliegie si raccolgono in maggio, quindi quel giorno aveva circa due anni e per lei maggio è ancora il mese del vino e delle rose.

KATIUSCIA

KatiusciaKATIUSCIA

Talmente scema, che diventava adorabile.
Katiuscia non era il suo nome, se lo era scelto perchè era il nome di una mitragliatrice e di una protagonista dei fotoromanzi Lancio ( esistono ancora).
Eravamo compagne di scuola negli anni settanta.
Si dava arie di vita vissuta allo sbando, ma era più scema e ignorante di me.
A chi la importunava lei replicava: ” sei ignorante come un camion di carabinieri “.
Le piaceva ballare, le piacevano i ragazzi.
Ballava e baciava.
Le dicevano: ” sei una zoccola ” .
Lei rispondeva: ” mi piacciono le zaccole ” ( non sapeva cosa era una zoccola, credeva fossero le anatre, che venivano chiamate in dialetto romagnolo zaccole).
Le piacevano quelli fuori dalle regole e si dava arie di vita vissuta allo sbando, per essere accettata da loro.
” Vieni fuori con me a provare dell’ LSD ” lei magari sarebbe andata, se non l’ avessero fermata eeeee pensare che non sapeva neanche cosa fosse uno spinello.
” Non stare vicino a quella ragazza, ha lo scolo ” ,
e Katiuscia impertinente rispondeva: ” e allora che sarà mai ” .
” tu non lo sai cos’ è lo scolo ” ,
” io lo so ,”
” dillo “,
” beh lo scolo è un rivolo d’ acqua “.
Che risate si fecero .
Tu, Katiuscia te ne sei andata impettita ed offesa.
Ora che ci penso non ricordo il tuo vero nome, ma spero che ovunque tu sia la vita ti abbia lasciato un po’ del tuo candore.

ANNA

anna 1ANNA

Capelli neri, lunghi e setosi, occhi grandi come quelli di un cerbiatto e coraggiosa.
Aveva perso la madre in tenera età.
Viveva sola col padre.
Amava i fumetti, durante le lunghe ore di italiano, innalzava sul suo banco l’atlante geografico, dietro a cui si nascondeva alla vista della Prof, a leggere le sue amate avventure.
Un giorno, non fu lesta a nascondere il giornalino e fu scoperta.
La Prof le sequestrò l’abominevole lettura e si avviò verso il cestino per stracciarla.
Anna si alzò in piedi e disse:
“Lei non può romperlo, perchè io l’ho comprato con i miei soldi, è mio non suo”.
La prof paonazza, si fermò e mise il fumetto nel cassetto della cattedra.
Anna si diresse, mentre la classe ammutoliva, con passo fermo alla cattedra, aprì con impeto il cassetto, prese il suo fumetto e guardando negli occhi la Prof, si rivolse a lei in tono calmo:
“Lei non può sequestrare un mio oggetto, ora io lo prendo e le assicuro che non lo leggerò durante le ore di lezione”.
Inspiegabilmente la Prof sempre pronta ad inviarti alla segreteria del preside o a metterti una nota, rimase senza parole e fremente di rabbia repressa ammutolì.
Noi ragazzi aspettavamo la tempesta a scoppio ritardato… ma la cosa finì lì.
Anna oggi è una stilista nota ed affermata, costumista di talento, ma ha affrontato scogli persi, scogli insormontabili, scogli superati e scogli vinti.
Anna la coraggiosa.

 

BILLY BUD

billy budBILLY BUD

Anna ed io eravamo compagne di scuola, risparmiavamo i soldi della merenda per comprarci libri e fumetti. Avevamo un patto, dividevamo le spese a metà, lei leggeva per prima poi leggevo io, quindi se era un fumetto lo conservava Anna
, se era un libro lo tenevo io.
Il patto funzionò benissimo sino all’ incontro con Billy Bud.
Lo incontrammo alla solita libreria, dovevamo comprare Messalina un fumetto più erotico che storico, ma quella mattina c’ era in libreria un romanzo di Melville, con la copertina bianca e vistose bande verde pisello ad incorniciare il titolo e la foto del ragazzo più bello che avessimo mai visto, talmente affascinante che ce ne innamorammo all’ istante. Dimenticato il fumetto di Messalina, cacciammo fuori tutti i soldi che avevamo, andando in prestito anche da Katiuscia , un’ altra nostra amica, e lo comprammo. Ma qui sorse l’ inghippo, Anna disse che questa volta l’ avrei letto io per prima, ma poi lei avrebbe tenuto il romanzo, in cambio mi dava ben dieci fumetti. Io non sentivo ragioni, il libro l’ avrei tenuto io, ma guarda che pretese, lei aveva sempre tenuto i fumetti, che voleva ora, a me non importava leggere per prima, mi importava tenere il libro. Anna disse allora che lei si sarebbe accontentata solo della foto di Billy Bud, ma a me non piacevano i libri “rotti”. Dai e dai cominciammo a spintonarci , una tirava il libro, l’ altra tirava, la copertina si ruppe, soprattutto si ruppe la foto di Billy Bud. A quel punto Anna strappò del tutto la foto e la fece a pezzettini, disse…tienilo pure ora a me non interessa più. La bellezza della foto di Billy Bud era innegabile ( Anna ed io associavamo le immagini della copertina al romanzo, per noi la copertina rispettava il contenuto) e quando lessi il romanzo rimasi con un sapore acerbo, acre perchè col mio egoismo, con il mio volermi tenere tutto ero stata la causa della morte anche dell’ immagine di Billy Bud… perchè come tutti sanno la morte dell’ affascinante marinaio di venti anni fu ingiusta che più ingiusta non si può. Ancora oggi ho quel piccolo volume dalla copertina un po’ stracciata con in mezzo una finestra aperta dove un tempo ormai lontano c’ era la foto di Billy Bud.