Dulce et Decorum Est

Per chi non lo sapesse questa pianta è il Maggiociondolo, per me uno degli alberi, dei mesi e dei colori più belli, evocativi e cari. Questo fiore è dedicato alle persone come Wilfred Owen. Siamo nella prima guerra mondiale, Owen si lasciò prendere dalle bugie di chi convince gli altri che possa esistere una guerra giusta: partì ventenne andò in guerra, il terribile gas Mostarda ( più terribile di tutti i gas velenosi si moriva dopo anche 5 settimane di tormenti devastanti) gli causò uno shock devastante, fu ricoverato e guarì, ma tornò al fronte, nonostante potesse rimanere a casa e vi morì a 25 anni il 4/11/1918 e sapete perché? Lui tornò e cercò di spiegare quello che accadeva nelle trincee, credendo che qualcuno dei potenti dicesse basta, nessuno lo ascoltò e lui così andò a morire assieme agli altri per solidarietà con loro e per continuare a testimoniare l’inumano macello… sei ancora tu maledetto uomo della fionda e dell’amazzafratello. La poesia è una mia libera traduzione… per Owen che fu tradito anche dai suoi amati scrittori latini, quell’Orazio che ammirava e che diceva è dolce morire per la patria
Dulce et Decorum Est
di Wilfred Owen, traduzione di Paola Tassinari
Piegati in due, come vecchi straccioni insaccati,
le ginocchia puntellate, con tosse di streghe e bestemmie di fango,
alfine dagli ossessivi fulgori, ci siam rivoltati,
avviandoci strascicando, nel lontano riposo al campo.
Uomini dormienti, marciavano e molti persi gli stivati, così scalzati
arrancavano fasciati da sangue. Tutti zoppicanti; tutti accecati;
ubriachi di stanchezza; indifferenti anche ai tonfi
delle granate stanche, distanziate, che cadevano alle nostre spalle.
Gas! GAS! Presto ragazzi! – Uno schizofrenico accozzando
col montaggio di goffi elmetti, in corsa col tempo;
ma qualcuno stava ancora gridando e inciampando,
dimenandosi come un uomo nel fuoco o nel cimento. –
Pallido, attraverso i nebbiosi vetri, in una densa luce verde,
come dentro a un mare verde, l’ho visto mentre stava affogando.
In tutti i miei sogni davanti al mio sguardo impotente
si tuffa su di me, annaspando, soffocando, annegando.
Se in qualche sogno angoscioso, anche tu fossi affisso
dietro al carro su cui l’abbiamo gettato,
guardando i bianchi occhi contorcersi sul suo viso,
la sua faccia penzolante, come un demone gravato di peccato,
Se potessi sentire, ad ogni sussulto, il sangue
uscir gorgogliando e schiumando – da bolliti polmoni
l’aspro vomito
di ferite meschine e mortali nelle gole innocenti, –
Amico mio, non la diresti con così tanto e alto entusiasmo
ai figli tuoi desiderosi di una qualche disperata gloria,
la vecchia e trista menzogna: Dulce et decorum est
Pro patria mori.