NATASCIA

NatasciaNATASCIA

 

Natascia usciva con le cugine.

Le cugine erano più grandi di lei.

In auto parlavano di esistenzialismo, di morte, di fuliggine, di nero.

Natascia non capiva, a lei pareva tanto bella la vita.

Le cugine le volevano bene le dicevano : – Tu non sai niente- , ma se la portavano dietro, anzi convincevano il babbo a farla uscire con loro, anche se Natascia era troppo piccola per fare la ragazza.

Una sera dovevano andare al concerto all’ aperto dei Nomadi.

Pioveva a dirotto.

Andarono lo stesso.

Non c’ era quasi nessuno, quattro gatti in tutto.

C’ erano i Nomadi però e suonarono e cantarono lo stesso!

Natascia rimase sconcertata, quando sentì… Dio è morto, le pareva blasfemo, che importa il brutto, c’ è il bello che lo lenisce, Dio non può morire, pensava.

Alla fine del concerto, il gruppo musicale venne al loro tavolino.

A Natascia non piaceva il cantante, era così peloso, le piaceva il chitarrista.

Il cantante aveva al collo un legaccio di cuoio con un lungo dente inciso, era di leone forse?

Natascia ne era attratta forte, già con la fantasia pensava al leone, alla savana, all’ Africa, ai viaggi avventurosi, alle favole, al mito.

Ad un tratto, una delle cugine disse: – Mi regali il tuo legaccio col dente?-.

Il cantante se lo tolse e porse con garbo il dente nelle mani della cugina di Natascia.

La cugina ringraziò, ma il cantante non contento alzò il mento a Natascia, la guardò negli occhi: – Lo volevi tu?-

No, no, no – allarmata, chinando il capo rispose Natascia.

Natascia non parlò più, il chitarrista non le interessava più, il cantante l’ aveva colpita, non le piaceva, era peloso, ma tu Natascia sapevi che lui ti aveva scoperto.

Il cantante dei Nomadi la vita lo ha lasciato troppo presto, tu hai fatto la veglia di notte ascoltando la loro musica nel ricordo di uno sguardo.

BRONCO

BroncoBRONCO

 

Fra tanti cani un gatto.

Era stato trovato piccolo e spaurito, con una zampa rotta, lungo il fiume Ronco.

Per questo il suo nome fu Bronco.

Bronco era un amore di gatto.

Grande era lo stupore del vicinato per questo gatto, chestava in mezzo ai cani e strusciava le gambe a tutti.

Ci fu chi a suon di croccantini lo viziò.

Lasciò così la sua casa sempre più spesso, andando ramingo fra le case vicine che se lo contendevano a suon di agi.

Qualche volta tornava alla vecchia magione, grasso inquartato, ti strusciava le gambe e se ne andava via.

E poi.

E poi le vicine ti dissero: – Bronco non si vede più, perché lo tieni chiuso in casa ? Era la nostra sola compagnia-.

_ Ma Bronco, non lo vedo più neanch’ io -.

Dov’ era Bronco?

Lo trovasti in una colonia di gatti selvatici che viveva nell’ oasi incontaminata del paese.

Non volle saperne di tornare a casa.

Ma un giorno tornò, mesto, dolorante e maciullato.

Il veterinario disse:– Meglio fargli un’ iniezione pietosa-.

No, io lo curerò-.

Così Bronco campò per un altro mese fra dolori indicibili, poi, poi, poi.

Tutto finito.

Qualche tempo dopo ti dissero che Bronco non era morto per le ferite dovute alla lotta fra gatti, come tu credevi.

L’ ortolano lo aveva lapidato con pietre e sassi perché andava a rovinare l’ insalata.

MARIA

mariaMARIA

Nata alla fine del milleottocento.
Tempi duri per le donne quelli.
Gli uomini sono alla guerra e a loro tocca portare avanti la famiglia da sole.
Per quelle in età da marito la scelta è parca. Alla fine della prima guerra mondiale sono rimasti pochi uomini e dei superstiti parecchi sono menomati.
A Maria non importa di rimanere zittella.
Ma il giorno della fiera, conosce un giovanotto che sa leggere il giornale.
Per Maria fu amore.
Il giovanotto, lei che non sa leggere e non sa scrivere, la incanta con i racconti che legge dai libri.
Maria le belle favole le aveva ascoltate solo in chiesa, ora scopre nuove maniere per sognare.
Si sposa.
Ha otto figli, quattro maschi, quattro femmine.
Figli partoriti al lavoro e tirati su nel rispetto delle leggi e della chiesa.
Ha una nidiata di nipoti.
Nipoti che l’ abbracciano come Anteo con la madre Terra.
A sessant’ anni impara a leggere e scrivere. La Parrocchia aveva ricevuto dei fondi dal Comune per organizzare dei corsi per la licenza elementare. Le chiesero di aderire per far sì di raggiungere il numero minimo degli iscritti richiesti.Lei accettò. Realizzò il sogno più recondito e desiderato solo per generosità, mai avrebbe chiesto qualcosa solo per lei.
Un ictus la colpì, pochi anni in carrozzella, poi morì a Firenze.
Maria siedi alla destra del Figlio.

 

LA MAESTRA ANNA

Maestra anna 1LA MAESTRA ANNA

Al nostro piccolo paesino di campagna, capitò che alla scuola elementare, dove le maestre erano sempre le stesse, per genitori, fratelli e sorelle, una maestra nuova.
Anna era il suo nome.
Ed era la mia maestra.
Io la amavo ma nascondevo il mio affetto dietro l’indifferenza, perchè io ero la sua preferita e le mie compagne mi avevano detto:
– La maestra vuol bene solo a te.-
La maestra sapeva della mia passione per i libri,
in quarta elementare avevo già letto tutti i volumi presenti nella biblioteca della scuola, lei così me li portava da casa sua, mi aveva spiegato che non sarei mai rimasta senza lettura perchè i libri non sarebbero mai finiti.
Un giorno mi portò un vocabolario con la copertina rossa, io non sapevo cos’ era un vocabolario, lei mi disse…ti piacerà, tienilo questo è per te…è tuo. Sulla prima pagina scrisse la dedica col suo nome e cognome.
Mio padre non fu contento di quel regalo, disse che non andava bene accettare un dono così importante ( alla fine degli anni sessanta un vocabolario era una cosa costosa). Mi accompagnò a scuola e parlò con la maestra, ella disse che a casa ne aveva tanti ed era un regalo che faceva a sè stessa il darlo ad una scolara che amava così tanto i libri.
L’ anno scolastico finì, tornai a scuola per frequentare la quinta elementare, la maestra Anna non c’ era più, mi dissero che era una supplente e che non sarebbe tornata più perchè aveva avuto il posto fisso a Ravenna.
Gli anni passarono, la maestra Anna è sempre nel mio cuore. Tentai anche di rintracciarla, ma dal vocabolario rosso, che ancora possiedo, manca una pagina : quella con la dedica e la sua firma ed io non ricordo il suo cognome.
Nessuno si ricorda più di lei, perchè rimase al paese solo un anno. Al Provveditorato degli Studi dove mi sono rivolta, hanno tanto da fare e non hanno tempo per cercare una persona solo col nome e l’ anno della sua supplenza.
Questo racconto è per tutte le brave maestre, se a volte vi sentite stanche e deluse…bè pensate che forse da qualche parte vi è una scolara ormai matusa che vi vuole bene ancora, che vorrebbe dirvelo ma non riesce a mettersi in contatto.