Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino

gatto 1Questo proverbio lo ascoltavo da piccola e non lo comprendevo, perché il gatto non poteva mangiare il lardo, che era pure cattivo e rancido, io non l’ho mai voluto mangiare, piuttosto stavo a digiuno, dunque perché il povero gatto doveva papparsi il lardo e lasciarci una zampa? Varie sono le ipotesi, quella più gettonata racconta di un uomo che conservava del lardo a casa sua. La sua gatta si mangiava di nascosto il lardo poco a poco. Il contadino mise una trappola per catturare i topi. La trappola era piccola per la gatta ma non per la sua zampa che rimase intrappolata. Questo modo di dire secondo me a che fare con l’abitudine, filosoficamente parlando è simile alla storia del tacchino di Popper. Questo pennuto era abituato a ricevere tutti i giorni il cibo, quando venne il giorno di Natale, fu lui ad essere mangiato. Quindi qualsiasi cosa che fate per la prima volta vi sembrerà pericolosa o perlomeno sarete un po’ ansiosi, poi l’abitudine vi darà la sicurezza a quel punto zac…l’imprevisto non visto. Ciò vale per un ladro, ma anche con l’assuefazione di droghe, alcol o sigarette, ma anche con una buona azione ci si può lasciare lo zampino…  in questo caso ci si arricchisce.

Gli ultimi saranno i primi

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“Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi, perché molti son chiamati, ma pochi eletti”. Così disse Gesù in una parabola che racconta del proprietario di una vigna, che va al mercato di prima mattina, per assumere lavoranti a giornata, poi vi ritorna in ore più tarde. Alla sera i lavoranti si riuniscono per essere pagati. Gli ultimi vennero pagati prima ricevendo una moneta per ciascuno, quelli che avevano lavorato tutta la giornata s’aspettavano molte più monete, ma ciò non avvenne, ed essi si arrabbiarono. Allora il vignaiolo li rimproverò, dichiarando che avevano ricevuto il pattuito; che egli aveva diritto di fare del suo ciò che gli piaceva; e che era una vergogna invidiare coloro con cui era stato più generoso. Con tutto l’affetto che ho per Gesù, questa parabola assieme a quella del figliol prodigo non mi piace. Qui il vignaiolo doveva regalare almeno due monete a tutti, così sarebbe stato veramente generoso, anzi siccome il primo era lui, che possedeva la vigna, doveva dividere il ricavato dell’uva con tutti quelli che avevano lavorato alla raccolta.  Qua i primi alla chiamata avevano eseguito un lavoro assai faticoso, non erano mica stati seduti sulla spiaggia, quel vignaiolo è stato solo capace di rovinare tutto, anche la gioia di chi aveva lavorato poco, ottenebrata dalla sacrosanta gelosia e invidia di chi aveva lavorato molto. Il messaggio di Gesù allora significa che la vita è ingiusta ma che chi crede in lui ama anche l’ingiustizia, l’accetta senza arrabbiarsi e… la pillola va giù.

L’uccellin che vien dal mare

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L’uccelin che vien dal mare
quante penne può portare?
Può portarne ventitré
a star sotto tocca a te.

Questa filastrocca è una conta, di solito a chi toccava l’ultima sillaba era il primo a dover fare qualcosa, magari solo il primo a nascondersi e quindi favorito, altre volte invece il primo era sfavorito, tutto dipendeva dal gioco da fare. Ricordi d’infanzia, dove nascono le conte? Molto probabilmente molti anni fa, quando c’era d’avventurarsi in un destino ignoto, il fato è sempre oscuro ma se te lo vai a cercare è probabile che accada qualcosa al di fuori delle abitudini. La conta a che fare con l’estrazione della pagliuzza più corta o col lancio della moneta, è quindi un sorteggio che ha la stessa etimologia di ‘sortilegio’, cioè stabilire qualcosa tramite il caso o un tempo antico per mezzo degli dei. Analizzando l’innocua conta dell’uccellin possiamo trovare nel volatile uno dei simboli più forti degli aruspici degli antichi romani. Questo uccellino viene dal mare, luogo sinonimo di pericolo per gli antichi greci, paragonabile oggi allo spazio, lo stesso luogo ignoto e perciò spaventoso, solo i più coraggiosi partono. Quante penne può portare…23, ebbene questo numero nella cabala significa o una grande sfortuna o un’eredità inaspettata che causerà invidie e gelosie. Morale rischiare solo se si ha la passione, non farlo per denaro. Certo oggi è una semplice conta, ma tante cose si sono tramandate nelle favole, nelle filastrocche, nei proverbi ecc., non sembra ma nella cultura orale, la voce resta, forse più della scrittura… è la forza della poesia.

Ambarabà ciccì coccò

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Tre civette sul comò
che facevano l’amore
con la figlia del dottore;
il dottore si ammalò:
ambarabà ciccì coccò.

Alzi la mano chi non conosce questa conta, già ho parlato del sorteggio/sortilegio di questo tipo di filastrocca, ma forse non sapete che se ne sono occupati diversi studiosi, tra cui Umberto Eco che ipotizza si tratti di una formula di un rito sessuale. Le congetture sono tante a me piace presentarvi una leggenda raccontata in TV. “Quando le principesse raggiungevano una certa età gli dei facevano loro dono di tre civette: una esaudiva i desideri, un’altra donava il principe azzurro  e la terza offriva saggezza e conoscenza. Le giovani non tenevano in nessun conto il dono della terza civetta, non sapendo che per ottenere i regali delle prime due occorreva accettare il dono della terza. Allora le divinità decisero di regalare solo la terza civetta in quanto le fanciulle erano stolte”. Bellissima leggenda ma il dottore che c’entra? Vi scrivo un’ipotesi. La civetta è un simbolo molto antico, caro alla dea Atena, qui le civette sono tre come nel giudizio di Paride, e le principesse vogliono amore cioè  la civetta/dea Afrodite e ricchezze ovvero la civetta/dea Giunone regina delle divinità. Queste civette stanno sul comò cioè alla portata di tutte le fanciulle, che essendo giovani non hanno e non possono avere la saggezza, non conoscendola non la vogliono. La figlia del dottore, cioè la principessa, perché qui “dottore” è inteso come persona accademica e di pregio, amoreggia e chiede regali al padre, ma il dottore si ammalò quindi si impoverì o forse morì. Alla figlia del dottore crollò il mondo, gli spasimanti volarono via, le ricchezze pure ed essa acquisì la saggezza. Morale è triste dirlo ma solo le disgrazie ci rendono forti e migliori, mentre il mondo “rosa” ci rende schiocchi e vanesi.