Il troppo stroppia (o storpia)

ar var aldaIl troppo stroppia (o storpia) è un noto proverbio usato in tutta Italia per indicare la negatività di ogni eccesso. L’abbondanza esagerata, la grande fortuna, la ricchezza smodata possono diventare controproducenti. Ogni eccesso è negativo. Stroppiare è una variante di storpiare. Storpiare in quanto  guasta, deforma, corrompe tutta la quantità. Quindi se si mangia troppo poi si sta male, se si esagera con la dieta pure non va bene, troppo dolore non si sopporta bisogna anestetizzarlo, ma anche troppo bene non va, perché ci si abitua e lo si pretende sempre. Non parliamo poi della ricchezza che la si accumula con voracità, non vergognandosene neanche vedendo chi è in cattive acque, ma anzi volendone sempre di più perché quando sarà ora di morire vorrà portarsi dietro le sue ricchezze come il contadino del racconto di Verga che in fin di vita uccideva i suoi tacchini, polli, conigli, ecc per portarseli con sé. Ricordatevi il troppo storpia l’anima ed anche il fisico, perché la bellezza interiore si riflette su quella esterna. Questo proverbio vuole evidenziare che in tutte le cose occorre una giusta misura di comportamento, è la mia bandiera, il mio motto preferito che si riassume più elegantemente nella massima di Orazio Flacco: est modus in rebus.

Solo come un cane o morire come un cane

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Perché si dice “solo come un cane”, che significa anche “morire come un cane”, in modo dispregiativo, con significato di solitudine estrema? Il modo di dire, si dice nasca dall’osservazione che un cane tenuto isolato, lontano dai propri simili (come spesso succede ai cani da guardia), è sofferente e bisognoso di compagnia in quanto è un animale sociale. Se pensiamo poi a un tempo quando venivano legati a una catena, il ragionamento non fa una grinza. Ma perché si nasconde quando sente che sta per morire? Penso che si nasconda perché noi non accettiamo  fisiologicamente  la loro dipartita provocando a loro un intenso dolore. Non vogliono lasciarci, non vogliono vedere le nostre lacrime altrimenti non riescono ad accettare naturalmente la loro morte. “Solo come un cane” o “morire come un cane”, non sarebbe quindi sinonimo di emarginazione, ma di accettazione, che non vuol dire indifferenza, bensì ricevere senza poter rifiutare.

 

 

Avere uno scheletro nell’armadio

ar var alda 6 “Avere uno scheletro nell’armadio”, cioè qualcosa di torbido tenuto chiuso e nascosto metaforicamente nell’armadio in realtà segretamente chiuso dentro di noi. Nell’armadio si cela spesso anche l’amante, sembra una vignetta, ma si mette nel luogo giusto quello del segreto. Ma da dove proviene il detto? Forse da una donna che all’arrivo del marito ha ucciso l’amante, l’ha nascosto nell’armadio e il coniuge l’ha poi scoperto molti anni dopo quando era già un cadavere? L’origine del modo di dire va ricondotta ad un episodio della Rivoluzione Francese e al Conte di Mirabeau, che ne fu protagonista. Mirabeau, celebrato come campione dei rivoluzionari, dopo la sua morte, si scoprì, in un armadio blindato, un’abbondante documentazione di accordi segreti del Conte con il re volti a contrastare i rivoluzionari. Le reazioni dei Giacobini furono molto violente, e anche la stampa dell’epoca raffigurò Mirabeau in forma di scheletro   nell’armadio a custodire le prove del suo tradimento. Un’altra fonte fa risalire l’origine del detto al 1800 quando gli unici cadaveri di cui i medici britannici potevano disporre, per ragioni di studio, erano le salme dei criminali giustiziati. Non vi era una vera abbondanza di salme per la professione medica. Sicché un medico che avesse avuto la possibilità di praticare un’autopsia su un criminale giustiziato ne conservava lo scheletro. E lo teneva ben celato in un armadio, poiché non era permesso di tenerlo allo scoperto. Il popolo      pensava che un po’ tutti i medici celassero uno scheletro nell’armadio, un segreto compromettente da tenere ben nascosto. Costruiamoci il nostro armadio interno e nascondiamoci i nostri scheletri, anzi dimentichiamoli perché il tempo molto spesso ci svela che erano ben poca cosa.

Sbagliare è umano, perseverare è diabolico

dama del liocornoSbagliare è umano, perseverare è diabolico, questo aforisma è forse ancora più famoso in latino: “Errare humanum est, perseverare diabolicum”. Il significato salta all’occhio subito, sbagliare è insito nella natura dell’uomo, più propriamente del fare e dello scegliere, ma continuare nell’errore è diabolico. Sembra sia una frase di Sant’Agostino, se ciò fosse, occorre dire che il Santo perseverò in molti peccati, ciò  non impedì, anzi forse lo rese edotto sul diabolico, di diventare un pilastro della cultura e della teologia. Avrete capito che non mi piace questo aforisma, essendo romagnola ovvero “testa dura”, cioè  testarda e cocciuta, un po’ come il mulo e quindi anche poco intelligente e un po’ diabolica infatti dimentico spesso di fare i coperchi. Sbaglio spesso ma non mi arrendo cerco in tutti i modi di metterci una toppa, di salvare il salvabile, e mi accontento del risultato… non sono una perfezionista. Questo mio continuare a sbagliare mi ha però reso tollerante e benevola verso gli errori altrui, mentre chi capisce subito, chi è più intelligente è pronto a bacchettare tutti sicuro di non sbagliare o perlomeno di farne meno degli altri. Se poi vogliamo fare i “pelosini” diabolico etimologicamente significa dividere che si riallaccia al numero due, quindi se vogliamo possiamo riscrivere il detto:“Sbagliare è umano, perseverare è dividerlo in due parti, si sbaglia un po’ meno”.

L’ozio è il padre dei vizi

arvar alda 5 L’ozio è il padre dei vizi, con questo modo di dire ci possiamo dividere in due squadre chi a favore chi contro. Io sto a metà, un po’ di ozio fa bene molto ozio fa molto bene inteso però come l’otium degli antichi, votato alla ricerca intellettuale. Mentre l’ozio di oggi porta spesso ai vizi, al bere, al fumare, al farsi delle canne, giocare alle slot ecc. Lo sanno bene i comandanti dell’esercito del potere deleterio dell’ozio,  si inventano lavori e lavoretti per non demoralizzare o tenere in stato di inedia la truppa. Anzi devono tenersi ben in ordine anche col vestiario, è risaputo che la sciatteria porta alla depressione… il depresso resta in ozio, nemmeno si lava, è schifato da se stesso e basta. In principio furono i Greci ad esaltare l’ozio, legandolo soprattutto alle classi aristocratiche e dominanti. Erano esclusi da questo privilegio, innanzitutto gli stranieri o i membri delle classi subalterne. Le persone dedite ai lavori manuali, come gli artigiani, erano disprezzate, in quanto scarsamente protese all’ozio, che era alimentato dalla partecipazione alle attività teatrali, sportive o politiche. A Roma tra coloro che lo vedevano in chiave positiva c’erano Cicerone e Orazio, con la ben nota teoria del carpe diem. A Catone il vecchio è ascrivibile il detto “l’ozio è il padre dei vizi” quindi lui era critico con l’ozio, come pure lo era Giovenale che vedendo i suoi contemporanei interessarsi soltanto al cibo e agli spettacoli del circo, conia l’espressione “panem et circenses”. A quel tempo l’ozio aveva cessato di essere un privilegio per le classi dominanti, divenendo accessibile anche ai più poveri, foraggiati dalle distribuzioni alimentari gratuite. Vi ricorda niente ciò? Oggi i vizi e l’ozio sono per tutti, foraggiati dal Governo che ne dà l’esempio e la truppa imita e crede di godere.